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Facciamo finta che l'acqua sia il tempo
che scorre. Se qui dove siamo noi è il presente,
da quale parte pensi che sia il futuro?
(p. 17) |
Essendo stato vincitore del Premio Strega 2017, mi sono tenuta ben alla larga da questo romanzo per due anni: ora, quando il clamore si è placato, quando l'autore non viene intervistato in tv, quando blogger, youtuber, influencer ed un sacco di altri tizi le cui professioni o passioni terminano col suffisso -er hanno smesso di dire la loro pro o contro questo libro, ecco, ora è arrivato per me il momento buono per leggere "Le otto montagne". Con la testa sgombra da giudizi e pregiudizi altrui.
Che io ami la montagna penso non sia un mistero per nessuno (il mio nome di battaglia sul tatami e l'immagine del mio profilo non sono casuali...), ma proprio per questo non è affatto scontato che apprezzi tutto ciò che ha a che vedere coi monti. L'aver percorso sentieri a caccia di funghi e castagne fin dalla più tenera età e l'essere stata in forze al settore forestale per anni, anzi, hanno fatto di me una lettrice abbastanza difficile da accontentare perché, mio caro autore, se scrivi di montagne hai davanti a te qualcuno che sa di cosa si tratta. Una tizia che distingue il trillo di una cinciallegra da quello di un cardellino e sa a quale quota prosperano il faggio o il cirmolo, ad esempio.
Da un romanzo non mi aspetto certo un trattato scientifico sulla conformazione e vegetazione alpina, sia ben chiaro, ma se trovo attendibilità narrativa questo costituisce di certo un pregio non trascurabile ai miei occhi: così come non basta infilare una cuffietta in testa ed un ventaglio in mano alle protagoniste per rendere credibile un romance storico, allo stesso modo non è sufficiente scrivere di boschi e valloni e laghi alpini e quota di fusione per abbindolare chi la montagna la vive e la conosce.
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E diceva: siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo: bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. (p. 140) |
Iniziamo allora col dire che questo romanzo di Cognetti è, se non vissuto, certamente ben documentato. Non so se l'autore si sia fisicamente arrampicato sulle cime, se abbia percorso sentieri fino ad avere i polpacci indolenziti e credere che le caviglie potessero frantumarsi da un momento all'altro, se abbia sentito il proprio respiro mutare con l'intensità della salita, ma certo ha scritto e descritto la montagna in modo credibile, tanto da rendere spontaneo chiedersi quanto ci sia, in lui, di Pietro Guasti e quanto Paolo faccia parte di Berio.
"Le otto montagne" è la storia di un'amicizia, una di quelle vere, che esistono e resistono senza bisogno di social network, di quelle che basta una telefonata per farti prendere il primo aereo e dal Nepal precipitarti a Grana, anche se non ci si vede quasi mai e son già passati trent'anni da quando si giocava insieme in riva al fiume. È storia di lotta e di rinuncia, di cose che cambiano e che restano sempre le stesse; è storia di chi va e di chi resta, di chi percorre le vie di otto montagne e di chi si ferma sulla cima innevata del Sumeru. È storia di ghiacciai e di fiumi, di bambini e di uomini, di partenze e percorsi, di alpeggi e di boschi, di vita e di morte.
Ed è una gran bella storia.
Titolo: Le otto montagne
Autore: Paolo Cognetti
Editore: Einaudi
Anno di edizione: 2016
Codice ISBN: 9788806239831
Le altre mie "letture montanare" di quest'anno le trovate
qui.