Sono stata a lungo indecisa: pubblicare o non pubblicare questo post?
Perché non vorrei sembrare la maestrina perfettina e bla bla bla...
Poi, però, ho pensato a tutte le persone che leggono il mio blog - che non sono moltissime, ma ci sono - ed ho sentito di avere un dovere nei loro confronti, che da me si aspettano recensioni sincere ed articoli onesti.
Lo sapete: io non pretendo di detenere la Verità Assoluta, mi limito a dare il mio parere su diverse questioni e sono sempre disponibile al dialogo e persino ad incassare critiche, purché costruttive e nei limiti del buon gusto.
Dopo questa lunga e forse noiosa premessa, credo si possa affrontare serenamente la questione: il self publishing, l'editoria multimediale e la dilagante ignoranza.
|
Le parole di Umberto Eco riprese da "La Stampa" |
Umberto Eco aveva asserito, neppure troppi anni or sono, che i social network avevano dato diritto di parola a legioni di imbecilli ed era stato, per questo, duramente attaccato proprio dagli utenti di Facebook, Twitter e via discorrendo.
Ebbene, io oggi asserisco che il self publishing (o l'auto pubblicazione, per dirla all'italiana: l'autore che decide di pubblicare da sé il proprio manoscritto) ha dato diritto di pubblicazione a legioni di analfabeti.
Il mio recente avvicinamento al mondo dell'editoria multimediale mi ha consentito di conoscere alcuni autori di pregio, ma, ahimè, anche un numero sorprendentemente elevato di analfabeti che pubblicano - e vendono - la propria immondizia.
I romanzi ai quali mi sono avvicinata per motivi... diciamo professionali... sono romanzi d'amore e, proprio per questo, ritengo che il mio giudizio non sia viziato: non è certamente questo il mio genere letterario preferito (a meno che non si parli dei grandi classici della letteratura, da "Orgoglio e pregiudizio" a "Romeo e Giulietta", da "Cyrano de Bergerac" a "Le notti bianche"), pertanto mi accosto alla lettura di ciascun eBook senza particolari aspettative.
Ci sono soltanto due requisiti che, da lettrice, mi aspetto vengano soddisfatti: una storia originale, possibilmente coinvolgente, ed uno stile narrativo accettabile.
Non eccelso, badate bene: accettabile.
Come fa un lettore ad orientarsi nel mare magnum delle pressoché illimitate offerte letterarie disponibili oggi in rete? Molto semplice: si basa sui consigli di amici e conoscenti oppure sulle recensioni.
Nel primo caso, possiamo soltanto augurarci che i nostri amici e conoscenti abbiano più o meno la nostra stessa predilezione per la lingua italiana corretta e non ci rifilino una qualche improponibile porcheria.
Nel secondo caso, dobbiamo essere particolarmente cauti. Perché le "recensioni di veri lettori", così come pure le "recensioni di Acquisto verificato" sono spesso fuorvianti.
|
Errori che a scuola sarebbero da "penna rossa" d'altri tempi,
vengono serenamente pubblicati e venduti. |
Voi comprereste mai un eBook che, già nel primo capitolo, snocciola una meraviglia del calibro di "...Ci volle un po' prima che riuscii a rispondergli..." e che prosegue così, riga dopo riga, con strafalcioni e mostruosi errori di grammatica e sintassi (sempre dal primo capitolo: "Superare quel periodo fu problematico, nessuno conosceva della mia prima cotta..." e, qualche riga oltre, "lottai contro tale tragedia adolescenziale ascoltano canzoni deprimenti...")? Eppure questa perla della letteratura nostrana sfoggiava, fino a non molti giorni fa, ben 5 stelline su Amazon: il massimo possibile.
Altra autrice, altra perla: "...Sono venuta a prendere le mie amiche. Devo dargli un passaggio...". Eh no, cara: se sei venuta a prendere le tue amiche - sostantivo femminile plurale - devi "dare loro" un passaggio e non "dare a lui", "dargli". Fingo possa trattarsi di una svista e vado avanti, fino ad imbattermi in "... Ero sempre relegata a dover andare a prendere le mie amiche...". Ora: nonostante una certa assonanza, "relegata" e "designata" (o "incaricata" o "delegata", se si preferisce) non sono sinonimi. Non si tratta di parole che si possono utilizzare a caso, a seconda di come ci paia suonino meglio.
Nel dubbio, mie care "scrittrici", date una sbirciatina al caro, vecchio, indispensabile vocabolario.
Ma com'è possibile che simili "autrici" abbiano recensioni tanto lusinghiere?
In base a quello che ho avuto modo di scoprire, sono principalmente due i modi per assicurarsi recensioni positive: il primo consiste nell'avere un solido seguito sui social network, un largo gruppo di "amici" che, per simpatia e solidarietà, mettono stelline "a fiducia", senza neppure leggere quello che pubblichi (o che, se vogliamo dar credito al vecchio adagio secondo cui "chi si somiglia, si piglia", condividono lo stesso smisurato livello d'ignoranza dell'autore). E, da qui, parte immediato il richiamo alle parole del compianto Eco.
Il secondo modo consiste nel rivolgersi a qualcuno che recensisca il tuo manoscritto dietro compenso. Ebbene sì, esistono persone che si fanno pagare per scrivere recensioni. E spero mi concediate di dubitare della loro obiettività.
Questo oceano di nuove pubblicazioni si abbatte con fragorose mareggiate sulle sponde dell'editoria italiana che, come rileva
un articolo de L'Inkiesta, è "sommersa di libri che nessuno legge".
Secondo
Andrea Coccia, autore dell'articolo, infatti, il numero dei lettori nel nostro Paese è più o meno stabile da decenni, con circa 3 milioni di lettori forti, così come stabile è, da circa quarant'anni, il numero della popolazione italiana.
Ad essere mutati, e di molto, sono i numeri riguardanti non il consumo, ma la produzione di libri (e di eBook): nel solo 2016 sono entrati in libreria più di 66mila nuovi titoli, 18mila dei quali di sola narrativa. Si tratta di
un incremento del 1800%, nel campo della narrativa.
La "crisi dell'editoria" di cui si parla da un decennio, insomma, sarebbe, secondo Coccia, imputabile all'editoria stessa e non ai lettori.
Come questi dati siano in qualche misura riconducibili alla
dilagante ignoranza italiana balza agli occhi: se il numero di lettori resta stabile, ma vengono loro offerti sia prodotti ineccepibili che spazzatura sgrammaticata, appare evidente che si giochi ad una sorta di roulette russa sulla pellaccia della formazione culturale, soprattutto dei più giovani.