mercoledì 19 settembre 2018

La vera storia del pirata Long John Silver

Quando ero piccola, proprio tanto tanto piccola, i miei genitori mi leggevano storie e fiabe. Appena sono stata un pochino più grande, ho voluto imparare a leggere da sola per poter scoprire quei mondi fantastici nascosti dietro alle parole. Il primo romanzo che lessi da sola fu "Piccole donne", il secondo "Il Corsaro Nero": i miei genitori mi hanno sempre lasciata libera di fare le mie scelte, non mi hanno mai rinchiusa negli stretti steccati delle "cose da femmina" o "cose da maschio" e così sono cresciuta giocando con bambole e macchinine, leggendo romanzi per ragazze e quelli per ragazzi, assecondando semplicemente i miei interessi. 
Ebbene, io del Corsaro Nero mi ero anche un pochino innamorata: amavo la sua libertà, il senso di giustizia e dell'onore, il suo coraggio e la possibilità di gironzolare per isole misteriose e porti affascinanti.
Quello che ho provato questa estate, leggendo "La vera storia del pirata Long John Silver", mi ha riportato alla mente le sensazioni vissute tra le pagine di quei primi romanzi "da ragazzo".
Il libro ha del pazzesco già di per sé, a ben pensarci: Long John Silver non è un personaggio storico, è uno dei pirati inventati da Robert Louis Stevenson per scrivere "L'Isola del Tesoro"; che qualcuno, centocinquant'anni dopo (anno più, anno meno) avanzi la pretesa di scriverne la vera storia è quantomeno bizzarro.
Eppure eccolo qui il nostro Silver, che si racconta a Larsson così come aveva fatto anni addietro con Defoe, seduto all'Angel Pub, ingollando rumfustian capace di incendiare le budella. 
Non tace niente, quel pendaglio da forca di Silver: scrive le sue memorie, il racconto di un uomo divenuto ormai più vecchio e più ricco di quanto avesse potuto immaginare, più vecchio e più ricco di tutti i suoi compagni ed avversari, passati a fil di spada o finiti impiccati dopo aver dilapidato autentiche fortune tra taverne e baldracche. 
Forse non ci credeva neppure lui fino in fondo, eppure eccolo qui, in un'isoletta del Madagascar, ancora ricco e vivo, seppur pieno d'acciacchi, ma ancora libero. Già, perché questo, soltanto questo aveva voluto ed inseguito per tutta la sua esistenza: la libertà. Pronto a pagare qualunque prezzo per non essere schiavo di niente e di nessuno. Libero e vivo.
Ora, vecchio e malandato nella sua isola, si concede anche un istante di riflessione: "Vivere. A qualunque prezzo. È stato questo il mio scopo, lo riconosco volentieri. Ma a chi è toccato pagare, mi chiedo, ora che posso farlo a mente fredda? A spese di chi e di quanti ho vissuto?".
Un libro meraviglioso, secondo me, nel senso più vero del termine: stupefacente, il racconto scorre via per oltre cinquecento pagine senza mai annoiare, avvincendo come le migliori storie di pirati sanno fare. 

Titolo: La vera storia del pirata Long John Silver
Autore: Björn Larsson
Traduttore: Katia De Marco
Editore: Iperborea
Anno d'edizione: 2017
ISBN: 9788870910759

(Anche questa è una delle mie letture d'agosto, uno dei quattro libri letti nel corso degli otto giorni di mare. Se volete leggere le mie recensioni degli altri le trovate a partire da qui).

martedì 18 settembre 2018

Cosa c'è dietro un saluto

Ricevo sul cellulare il messaggio di un genitore più o meno di questo tenore: "Mio figlio vuole fare M.M.A. Fate questi corsi?".
Rispondo: "Innanzitutto buongiorno" e poi proseguo dando stringate informazioni. 
Forse posso essere sembrata scortese al genitore, che si sarà sentito apostrofato dal mio richiamo neppure tanto velato, quasi certamente mi avrà trovata pedante se non un'immane rompicoglioni. Probabile.
Ma salutare non è solo segno di buona educazione.
E non è un caso se, prima di iniziare una lezione di una qualsivoglia arte marziale, allievi e Maestri fanno il saluto.
Il saluto è, innanzi tutto, segno di rispetto. Sul tatami ed ovunque.
Salutare significa "ti vedo, ti riconosco nel tuo ruolo - di Maestro, di postino, di segretaria o di dentista non importa - ma soprattutto metto da parte per un istante l'io per dare importanza al tu".
Il buongiorno dato o non dato, dunque, non è solo un saluto, ma un sintomo. Chi non riesce a scendere dal proprio piedistallo neppure per il breve istante necessario a dire - o scrivere - questa parolina difficilmente saprà dimostrare rispetto negli altri aspetti della vita, che si tratti di accettare le indicazioni del Maestro o di rispettare la fila alla cassa del supermercato, come di onorare la scadenza di un pagamento o dare la precedenza ad un segnale di stop lungo la strada. 
Quindi, no, un saluto mancato non è solo un saluto mancato. Non per me, non per noi dell'Accademia Marziale Saronno, non per chi crede e promuove certi valori.

giovedì 13 settembre 2018

Un inizio difficile

Non lo nego: tornare in palestra, a inizio settembre, è stato difficile. 

E difficile lo è ancora, certe sere. 
Forse qualcuno potrebbe dire che ho le paturnie, la verità è che il problema non è qualcosa che ho, ma qualcosa che manca. Qualcuno che manca.
Manca il Maestro. 
E lo so che è sempre stato a 800 chilometri di distanza e che i nostri incontri annuali si contavano sulle dita di una mano, ma c'era.
C'era. 
E adesso non c'è più.
E allora a volte ho l'impressione che le mie lezioni, per quanto accurate e preparate, siano tenute navigando a vista, perché manca il faro, manca quella luce ferma e certa che guidava ogni scelta e decisione.
Cerco la forza negli altri membri dell'equipaggio, per così dire, negli altri appartenenti alla famiglia del T'ienshu rimasti, come me, orfani, ed insieme si va avanti, cercando di far bene, cercando di non deludere le aspettative che il Maestro Caposcuola nutriva su di noi.
Ho ben chiare, nella mente e sulle pagine del quaderno in cui annotavo ogni nostro incontro, le sue parole. So cosa il Maestro si aspettava da me come Istruttrice e mi dico che, anche se manca il faro, queste sue parole sono le carte nautiche che mi ha lasciato per non perdere la rotta.
Così stringo i denti e, faticosamente a volte, si va avanti a vele spiegate. 

mercoledì 12 settembre 2018

Come lampo

Quella di Come lampo è stata una rilettura, a distanza di tempo, di un romanzo scritto da Lucrezia Monti, un'autrice emergente italiana. 

Letto la prima volta in veste di consulente, ho voluto prendere le distanze dal lavoro ed assaporare il romanzo per ciò che è: un racconto. Per meglio riuscire nell'impresa, ho deciso di leggerlo mentre mi trovavo in vacanza in Sardegna, così da "staccare" anche geograficamente. 
Marina e Luca sono due giovani che hanno appena iniziato a vivere la loro storia d'amore - coi dubbi e le paure che caratterizzano le prime esperienze sentimentali - quando un'aggressione sconvolge tutti i fragili equilibri.
Il romanzo, narrato a due voci, dà la possibilità di comprendere al meglio i diversi punti di vista dei due protagonisti e le strategie che ciascuno mette in atto per riemergere dalla violenza del passato, trovando la forza di creare nuovi equilibri personali e di coppia.
Sebbene il romance non sia esattamente il genere letterario che preferisco, ho molto apprezzato l'approfondimento psicologico dei personaggi messo in atto dall'autrice, che non si è limitata a raccontare una storia d'amore, ma ha voluto indagarne e svelarne i meccanismi, sentimentali e psicologici. 
Ben scritto e ben sviluppato, Come lampo è innegabilmente una storia d'amore e proprio nella descrizione di alcune scene di coppia ha, secondo me, il suo tallone d'Achille: personalmente non amo molto le scene di passione e di sesso raccontate troppo esplicitamente. 
Comunque una buona lettura, soprattutto se si considera che si tratta dell'opera di esordio di un'autrice emergente capace di entrare, con le sue sole forze, tra i cinquanta Bestseller di IBS

Titolo: Come lampo
Autore: Lucrezia Monti
Editore: Streetlib
Anno d'edizione: 2016
ISBN: 9788826416540

Questo è il secondo libro delle mie letture delle vacanze 2018, se vi incuriosiscono gli altri titoli, non perdetemi di vista.

mercoledì 5 settembre 2018

Il canto delle orche

Un amore ed una sparizione misteriosa in una piccola cittadina del Maine, alla vigilia delle elezioni che decideranno le sorti della comunità, divisa tra il desiderio di mantenere le proprie radici di pescatori e la tentazione di puntare sul turismo di massa. 
La narrazione delle vicende umane si intreccia con quella di un gruppo di orche, parte integrante dell'ambiente e le cui esistenze entrano in contatto - talvolta in conflitto - con gli esseri umani che vivono sulle coste. 
L'amore per il mare e le creature che lo abitano traspare con chiarezza dalle pagine di questo romanzo che miscela giallo e rosa senza addentrarsi appieno in nessuno dei due generi letterari.
Una buona lettura estiva i cui personaggi sono però un po' troppo stereotipati, secondo me: Ella, la protagonista, ad esempio è tanto perfetta da risultare o inverosimile o insopportabile.
È bella, è onesta, è intelligente, è leale, ama la natura, rispetta l'ambiente, è tosta, sopporta le asperità di un lavoro "da uomini" e riesce a farsi rispettare, tenendo testa anche ai più beceri attaccabrighe grossi il doppio di lei. E, ovviamente, fa perdere la testa al sexy avvocato arguto, affascinante, indomito ed appassionato difensore dei giusti e degli oppressi che, guarda caso, è pure il rampollo di una ricca famiglia.
Ben scritto, con una narrazione che scivola via liscia come una pilotina su un mare calmo, Il canto delle orche è certamente meglio di molti altri romanzi che si trovano in circolazione, ma non offre particolari guizzi che lo rendano un libro memorabile: una buona lettura da relax, da vacanza, leggera. 

Titolo: Il canto delle orche
Autore: Stuart Harrison
Traduttore: Gianna Lonza
Editore: Piemme
Anno d'edizione: 2004 (seconda edizione)
ISBN: 9771592825029

Questa è la prima recensione delle mie letture d'agosto, continuate a seguirmi per non perdervi le altre. 
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