Sono di parte? Certo che sì. Sono scandalosamente, innegabilmente di parte. D'altro canto "Person of interest" ha tutti gli ingredienti indispensabili per conquistarmi, a cominciare dall'applicazione di tecniche di autodifesa molto credibili. Poco importa se John Reese, alias Jim Caviezel, abbia praticato arti marziali soltanto 5 anni e le rispolveri ora in occasione delle riprese: merito del preparatore atletico o delle sapienti tecniche di ripresa, poco importa, in questa serie tv le scene di combattimento corpo a corpo sono per lo più comprensibili e completamente apprezzabili.
Non è, questo, dettaglio da poco: spesso nei film d'azione si incappa in attori bellocci ma completamente incapaci di praticare tecniche marziali e si risolve il tutto o con sparazzamenti dalla lunga distanza o con riprese confusionarie, che non fanno comprendere nulla e non di rado causano anche un leggero mal di mare allo spettatore. In "Person of interest" tutto ciò non avviene: le scene di lotta sono davvero ben eseguite, coreografate con la stessa precisione di una danza, ma con jab, cross, ganci e montanti, guntig, proiezioni, leve articolari, disarmi... Una meraviglia! Un piacere per gli occhi!
E l'attenzione a che il tutto sia verosimile trova conferma anche nella scelta dei personaggi femminili più... attivi: l'attrice Sarah Shahi, ad esempio, che interpreta il ruolo di Sameen Shaw, è cintura marrone di Karate, e dal canto suo Root (l'attrice Amy Acker) aveva studiato tecniche di combattimento a mani nude, con pugnale, bastone e spada mentre frequentava il corso di recitazione alla Saouthern Methodist University.
Poi, naturalmente, c'è la trama, coinvolgente e molto attuale, riassunta in parte nel monologo introduttivo di ogni puntata: "Siamo sorvegliati. Il Governo dispone di un sistema segreto, una Macchina, che ci spia ogni ora, di ogni singolo giorno. Lo so, perchè l'ho costruita io. Ho ideato la Macchina per prevenire atti di terrorismo, ma vede ogni cosa. Crimini violenti che coinvolgono persone comuni, persone come voi; crimini che il Governo considera irrilevanti. Ma noi no. E poichè loro non avrebbero agito, decisi di farlo io, ma mi serviva un socio, qualcuno con le capacità per intervenire. Le autorità ci danno la caccia, lavoriamo in incognito. Non ci troverete mai. Ma che siate vittime o carnefici, se esce il vostro numero... noi troveremo voi".
La voce narrante è quella di Harold Finch, miliardario solitario nonchè genio dell'informatica, che vive ed opera nell'anonimato (interpretato dall'attore Michael Emerson); il "numero" cui si fa riferimento è quello della previdenza sociale, sorta di codice fiscale che la Macchina segnala, indicando che la persona corrispondente sarà coinvolta in un crimine violento. E come fa la Macchina a prevederlo? Semplice, analizza tutti i dati di tutti i cittadini: riprese delle videocamere di sorveglianza disseminate lungo le strade o nei locali pubblici, messaggi inviati ai social network, telefonate fatte e ricevute, accessi ad internet, geolocalizzazione tramite gps... tutto. E, incrociando i dati, elabora la percentuale di probabilità che quella persona ha di essere coinvolta, come vittima o carnefice, in un crimine e la segnala attraverso il numero di previdenza sociale.
Pazzesco, eh? Ma, se ci fermiamo un attimo a pensare a quanto tempo passiamo connessi, a come ci sentiamo ormai "nudi" se usciamo di casa senza telefono cellulare (il quale, collegandosi a diverse celle, rileva la nostra posizione), a quanto spesso inviamo e riceviamo dati tramite tablet e smartphone, a quante videocamere ci riprendono durante i nostri spostamenti quotidiani (autostrada, banca, videosorveglianza nei negozi...), scopriamo che l'idea tanto folle non è.
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