Niente paura, non sono impazzita e non intendo affermare, come ha già provveduto a fare (pare) qualcuno ben più noto di me, che arte e cultura non danno da mangiare: l'arte alla quale mi riferisco nel titolo è l'arte marziale, che a volte pare davvero essere troppa.
Posto che le arti marziali vengono praticate da esseri umani e che gli esseri umani sono dotati di due arti superiori, due arti inferiori, un tronco ed un capo, dovrebbe essere abbastanza intuitivo che i colpi possibili sono comunque finiti e che, quindi, anche le varie discipline dovrebbero rientrare in un numero finito. Ma così non è. Un pugno è sempre un pugno, no? No! C'è la disciplina che ti insegna a tirarlo estendendo il gomito e quella che invece prevede che il gomito rimanga in leggera flessione; c'è la scuola che ti insegna a tirarlo tenendo il pollice rivolto verso l'alto e quella che invece prevede pugni tirati "in orizzontale", col pollice rivolto verso l'interno del busto eccetera eccetera eccetera.
E questo giusto per fare un esempio! Perchè se ci si addentra nelle terminologie, nelle posizioni di guardia, nelle tecniche di calcio... beh, ce n'è abbastanza da uscirci pazzi!
Ma dove sta il problema? Perchè ciascuno non dovrebbe insegnare l'arte marziale che pratica come meglio crede o come per millenni è stata tramandata? Presto detto: perchè tutta questa frammentazione crea un casino pazzesco! Ci sono decine di migliaia di scuole di arti marziali (quindi decine di migliaia di metodi d'insegnamento) e, se non centinaia, ci sono senza dubbio diverse decine di arti marziali, spessissimo frammentate al loro interno in molteplici scuole e stili: Karate? Certo, ma Karate di Okinawa o Wado-Ryu? Karate Shotokan o Kyokushinkai? E via dicendo…
Ciascuna scuola, poi, sceglie a quale Associazione aderire, sempre che non ne fondi una propria. E quindi abbiamo il CONI - Comitato Olimpico Nazionale Italiano - nel quale troviamo, ad esempio, la FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) o la FITA (Federazione Italiana Taekwondo) o, anche, La FIWUK (Federazione Italiana Wushu Kung Fu), ma al cui interno non ci sono, tanto per fare alcuni esempi, la PWKA (Professional Kung Fu Wushu Association) nè l'Associazione Italiana Aikido e neppure la AIKO (Associazione Italiana Kobudo di Okinawa) nè lo Shou Bo Italia, il quale però è affiliato all'ASI (Alleanza Sportiva Italiana, "concorrente" del CONI).
Tutto questo proliferare di scuole, associazioni, alleanze, comitati et similia comporta alcuni problemi: ad esempio è estremamente complicato organizzare competizioni interstile non soltanto per la difficoltà tecnica (come comportarsi se si trovano a combattere un atleta che include nel suo repertorio di tecniche anche le proiezioni ed un atleta che invece non le pratica?) ma anche burocratica (chi è affiliato ad un'associazione spesso ha un'assicurazione sportiva che comprende incontri solo tra altri affiliati, escludendo gli altri).
In mezzo a tutto questo caos il bubbone si è gonfiato sino a scoppiare, clamorosamente, nei giorni scorsi, quando ad Alessandria si è tenuto il "13°Campionato Italiano di Kung Fu" e il delegato locale della FIWUK si è affrettato a diramare una comunicazione asserendo che quel Campionato non poteva fregiarsi della dicitura di "italiano" nè di "nazionale" in quanto realizzato da personaggi non tesserati FIWUK - quindi non aderenti al CONI - e pertanto "abusivi". Ma le precedenti 12 edizioni erano state di "Campionati Italiani" oppure no? Se sì, come mai la tredicesima edizione non può esserlo? Se no, come mai il CONI è stato zitto per dodici anni? E i vincitori di questo Campionato come devono considerarsi, come atleti che hanno superato e battuto avversari provenienti da tutta Italia e che quindi sono i migliori a livello nazionale o dei ragazzi che, non sapendo come meglio passare il tempo, se le danno di santa ragione su un tatami mentre genitori e spettatori si godono la scena?
io non amo la competizione, ancora meno nelle arti marziali. Quindi per me il problema non si pone, non è importante sentirsi definire campione italiano, quanto l'aver fatto una esperienza che arricchisce e che fa conoscere nuovi stili e nuove persone.
RispondiEliminaCerto che se uno invece voleva confrontarsi apposta perchè il suo desiderio era di diventare campione in qualcosa, per misurarsi e per capire il proprio livello, allora immagino che darà molto fastidio questo atteggiamento del coni. Mi piacerebbe davvero che dietro questo tesseramento !obbligatorio" non ci sia solo una questione di soldi.
Davvero, lo spero tanto.
Zion, anch'io - tranne forse nel periodo in cui ero giovane e magari bauscia - non ho mai interpretato l'arte marziale come un mezzo per racimolare medaglie e titoli sui giornali. Ma non credo che la questione sia tutta qui. Secondo me un atleta che partecipa a gare e manifestazioni, soprattutto di questo genere (in ambito cioè dei cosiddetti sport minori), lo fa non soltanto per se stesso ma anche per dare visibilità ad una Scuola, ad uno Stile, ad una particolare disciplina che, altrimenti, come vediamo bene a partire dai giornali come "La Gazzetta dello Sport", vengono completamente ignorati. Ora, purtroppo, la visibilità alle arti marziali è stata data, ma sarebbe stato preferibile giungesse per altre motivazioni.
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