domenica 8 ottobre 2017

Insegnante di Karate e pedofilo

La magistratura farà il suo dovere, la giustizia farà il suo corso, chiunque è innocente fino a prova contraria e bla, bla, bla, ma nel frattempo un nome è saltato fuori, dietro le iniziali di C. C. e questo fatto apre la porta a due possibili scenari: primo, la redazione del Corriere della Sera aveva una gran voglia di "sbattere il mostro in prima pagina"; oppure, secondo, ci sono seri e concreti elementi che pesano su Carmelo Cipriano e che lasciano ritenere che abbia effettivamente violentato diverse sue allieve (qui l'articolo).

Se davvero così dovesse essere, se veramente le indagini ed i processi dimostreranno la sua colpevolezza, questo individuo non sarebbe degno di essere annoverato tra gli appartenenti al genere umano. 
Non solo perché ha violato, neanche fosse la peggior bestia incapace di ragionare su elementari processi di causa-effetto, i corpi ancora acerbi di ragazzine la cui vita sarà segnata per sempre, ma anche o soprattutto perché ha violato la fiducia che queste ragazzine e le loro famiglie riponevano in lui. La violenza sessuale è l'acme, la proverbiale punta dell'iceberg di una violenza psicologica ed emotiva; l'ultima e tangibile prova fisica di un abuso invisibile quanto immenso. 

L'insegnante è chi affianca le famiglie nel meraviglioso e al tempo stesso gravoso compito di forgiare i bambini ed i ragazzi, preparandoli per il futuro, trasmettendo loro non solo nozioni, ma soprattutto valori. Così, almeno, è come interpreto io l'insegnamento ogni volta che salgo sul tappeto e mi rapporto e mi confronto con i miei piccoli allievi della scuola di T'ienshu
Mi ritrovo tra le mani giovani piantine, dalle piccole foglie un po' tremolanti, destinate a divenire le querce ed i cedri, i larici e le betulle che sosterranno il cielo di domani.
Il mio compito è prendermi cura di questi giovani, renderli forti e saldi, infondere loro fiducia in se stessi e nelle proprie possibilità, spronarli a dare sempre il meglio di sé, spingerli a rispettare se stessi e chi sta loro attorno. Sono questi i valori del T'ienshu e dell'insegnamento, sono queste le cose in cui credo e che mi hanno spinto ad intraprendere questa via.

Sono idealista e, probabilmente, ho idealizzato anche l'insegnamento. È possibile, non lo nego. Certo è che io mi trovo in una posizione privilegiata: insegno per passione, non per far cassa. È questo, il T'ienshu: non a scopo di lucro, di nome e di fatto. E ciò che mi arricchisce non sono le quote mensili degli iscritti - che pure sono il tangibile riconoscimento di un lavoro svolto e che certo non fanno schifo, perché anche le insegnanti idealiste hanno bollette da pagare - ma le emozioni e le lezioni che mi danno i miei piccoli allievi.

P.S. Agli insegnanti seri di Karate, che svolgono il loro compito educativo con competenza e passione, va tutta la mia solidarietà.

mercoledì 4 ottobre 2017

Ragazzi, diseguaglianza ed idealismo: "Gli effetti secondari dei sogni"

Ci sono libri che ti capitano tra le mani.
Libri che scegli e, altri, che paiono scegliere te.
"Gli effetti secondari dei sogni" appartiene decisamente alla seconda categoria: è un romanzo e non un libro di saggistica, il personaggio principale è una ragazzina adolescente, non è, in poche parole, il libro che avrei scelto di leggere. Eppure me lo sono ritrovato tra le mani e, quasi inspiegabilmente, l'ho divorato. 

Lou Bertignac è una ragazzina fuori dal comune: non solo perché ha un quoziente intellettivo particolarmente elevato, che ha fatto sì che finisse in una classe di ragazzi tutti più grandi di lei (e se essere un genietto è già abbastanza dura, essere un genietto tredicenne in un'orda di quindicenni può essere devastante), ma anche perché vive in una famiglia complicata.
Lou cerca rifugio nella logica della matematica e degli insiemi, nello studio delle parole e dei loro significati, nella realizzazione di progetti in bilico tra lo scientifico e l'assurdo.
Tenta, come solo una tredicenne può fare, di trovare un equilibrio per andare avanti.

Una delle cose che le piace fare è osservare la gente alla stazione e proprio qui, un giorno, incontra lo sguardo di una barbona. Inutile girarci intorno, con sofisticati giri di parole ed eufemismi: Nolwenn è una barbona. Una homless, una clochard, una ragazza che ha soltanto pochi anni più di Lou e che, in qualunque modo la si voglia appellare, vive per strada, non ha una famiglia né un'abitazione, non ha la garanzia di riuscire a mangiare ogni giorno né di potersi lavare o di dormire al caldo ed al sicuro.
La storia di Lou s'intreccia con quella di No e di Lucas, il compagno di classe che pare essere la perfetta antitesi di Lou: più grande di tutti, pluri bocciato, disinteressato a qualunque cosa accada tra le mura dell'aula. Tranne che a lei. La chiama Pèpite, le sta vicino, l'aiuta e... forse un po' la ama anche. Come si può amare a diciassette anni. Come una tredicenne dal quoziente intellettivo fuori dalla media sogna di poter essere amata. 
Pagina dopo pagina scopriamo che "Le cose sono sempre più complicate di quanto sembra. Le cose sono come sono e ce ne sono molte contro le quali non possiamo fare niente. È quello che bisogna accettare per diventare adulti".
Toccante.

Titolo: Gli effetti secondari dei sogni (No et moi)
Autore: Delphine De Vigan
Editore: Mondadori (Èditions Jean-Claude Lattès per la Francia, 2007)
Anno di edizione: 2008
ISBN: 9788804589426

domenica 1 ottobre 2017

L'isola che c'era

Ci vuole coraggio a dire di essere fascista.

Perché al fascismo sono legate alcune tra le pagine più cupe e nere della Storia. Ma il Cotoletta quel coraggio l'aveva sempre avuto, anche quando, subito dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, nessuno avrebbe mai ammesso di essere stato, per forza o per convinzione, seguace di Mussolini. 
Lui, che della guerra e degli orrori avrebbe fatto volentieri a meno, era stato però un sostenitore degli ideali che avevano animato il sorgere del fascismo e questo suo passato, coraggiosamente, non lo rinnegò mai.
Così come coraggiosamente decise, tornato dalla guerra, di affrontare la sfida di andare a vivere su un'isola spoglia ed abbandonata, sulla quale gravava la cupa maledizione di un antico vescovo di Como: quando la città venne rasa al suolo dai milanesi, alleatisi con gli abitanti dell'Isola Comacina, i comaschi furono annientati, distrutti nell'animo oltre che negli averi, ma quando, spalleggiata da Federico Barbarossa, Como ebbe la sua rivincita, la vendetta verso gli isolani fu terribile e spietata. Molti uomini morirono, bagnando col loro sangue le pendici di quel lembo di terra circondato dalle acque del Lario, il fuoco bruciò qualunque cosa, arrossando col suo fulgore il cielo della notte sopra il lago di Como. Ed il vescovo Vidulfo lanciò la sua maledizione: "Non suoneranno più le campane, non si metterà pietra su pietra, nessuno vi farà mai più l'oste, pena la morte violenta".
La storia del Cotoletta, che sull'isola ci andò a vivere e a metter su famiglia, a costruire un ristorante, a sfidare la maledizione, si intreccia con quella della Storia del lago, che nel corso dei secoli ha visto distruzioni e rinascite, il tutto raccontato da una narratrice d'eccezione: la figlia del Cotoletta stesso.

Questo è il terzo libro della mia trilogia estiva (purtroppo non ho avuto molto tempo da dedicare alla lettura, ma conto di recuperare in inverno), l'ultimo che mi mancava di recensire dopo "Vendetta sottobanco" (già letto in eBook, ma il cartaceo ci guadagna) e "Il caso Malausséne". 
È un romanzo piacevole e scorrevole, in cui storia e leggenda si mescolano e si fondono, con un tocco di magia, ma devo confessare che non mi ha conquistata appieno, forse perché troppo legato a quanto vissuto in prima persona dall'autrice. Comunque storia godibile se amate le leggende un tantino intrise di mistero e se, come me, adorate il Lago di Como. 

Autore: Albertina Nessi
Editore: Dominioni 
Anno d'edizione: 2010