Donnie Yen si conferma attore di prim'ordine ed offre, nel terzo capitolo sulla storia del Maestro Ip Man, un'intensa interpretazione non soltanto marziale, ma anche umana.
Nel 1959 la colonia britannica di Hong Kong sembra florida, ma un accresciuto benessere si accompagna ad accresciuta criminalità: ben lo sa il poliziotto Po e fin troppo presto questa realtà sarà anche sotto gli occhi del Maestro Ip, che si troverà a dover difendere la scuola frequentata dal figlioletto dalle mire di un'organizzazione criminale.
Riconosciuto ormai come Maestro di arti marziali di grande valore, Ip si divide tra i doveri della scuola di Wing Chun da lui diretta e l'impegno nella società civile, trascurando però la propria famiglia, fino a quando un imprevisto dramma si abbatte sulla sua casa, costringendolo a rivedere le proprie priorità.
Un film intenso, in cui le arti marziali svolgono naturalmente un ruolo di primo piano ma senza intaccare una trama comunque di spessore.
Donnie Yen è un marzialista sofisticato e di grande bravura, che incontra nei panni di Ip Man l'esperto di Wing Chun Cheung Tin-chi, interpretato da Zhang Jin (nato cinematograficamente come stunt-man ne "La tigre e il dragone"), tanto povero quanto orgoglioso e fermamente deciso a dimostrare che il proprio Wing Chun sia il migliore in assoluto.
Il tanto celebrato Mike Tyson in realtà riveste un ruolo marginale nel complesso narrativo, pur dando vita ad un pregevole duello con Ip Man non esente - ahimè - da "cinesate", eccessivi virtuosismi marziali che consentono di sfidare la forza di gravità e le più elementari leggi della fisica.
Nel suo complesso, comunque, il film è decisamente piacevole e prosegue idealmente i primi due capitoli sulla vita del celebre Maestro di Wing Chun, riproponendo l'arrivo del giovane Bruce Lee (interpretato da Danny Chan Kwok-kwan, non nuovo a questo ruolo) tra le fila degli allievi di Ip.
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