martedì 15 marzo 2016

Adinolfi contro Kung Fu Panda: inculca la teoria gender

Kung Fu Panda: un pericolo per i bambini?
Il sospetto è che possa trattarsi di un'astuta trovata pubblicitaria, ma tant'è: il giornalista e politico Mario Adinolfi avrebbe affermato che Kung Fu Panda fa il lavaggio del cervello ai bambini, insinuando nelle loro menti la teoria gender. Perché? Perché Po, il protagonista, ha due papà, uno biologico ed uno adottivo. 
Ora, se si tratti di trovata pubblicitaria a favore del film, il cui terzo episodio esce a marzo in Italia, o a favore di Adinolfi, candidato a sindaco di Roma per il Popolo della Famiglia (lui, sposato, divorziato e risposato), resta da capirlo, ma nel frattempo su Twitter impazza la bufera.

Nel mentre a me sono tornati alla mente i ricordi dei tanti cartoni animati giapponesi mandati in onda in Italia "in tempi non sospetti", quando parole come gay e gender non erano nemmeno immaginabili e si capiva che il finocchio di cui altri parlavano non era l'ortaggio solo perché veniva nominato a bassa voce.
Ero piccola quando, all'interno di "Bim Bum Bam", Lady Oscar, nata femmina, era costretta a vivere come un maschio, reprimendo la propria natura e, più o meno negli stessi anni, scorrevano sullo schermo le vicende della bionda Georgie, trovatella australiana che si sollazzava ampiamente con entrambi i fratelli adottivi oltre che con il nobile Lowell.
Su un diverso canale - mi pare fosse Antenna Tre, ma potrei sbagliarmi - andavano in onda le puntate di Lamù, diavolessa spaziale molto poco vestita. E che dire dei Puffi e del loro ridente villaggio (realizzato peraltro utilizzando funghi allucinogeni, l'amanita muscaria), in cui una sola femmina era attorniata da un centinaio di omini blu? Erano gli anni '80; gli stessi di cartoni animati dalla profonda valenza educativa come "L'Uomo Tigre", "Ken il guerriero" e dei primi robottoni, come il mitico Mazinga Z e la sua compagna d'avventure Afrodite A (che sparava le tette).
Tra ladri, inseguimenti, sparatorie e nudi della procace Fujiko, come non citare poi Lupin III?
Tutte cose, queste, che, viste a 5, 7 o 10 anni non fanno grande impressione e che solo una volta diventati adulti possono essere rilette sotto una lente completamente diversa.
Perché quando si è bambini al sesso ed alla violenza nemmeno ci pensi, non li conosci, a meno che non ci sia un adulto a farteli conoscere. 

In termini di "pericolosità sociale", insomma, credo che Kung Fu Panda sia paragonabile a tonnellate di cartoni animati, fumetti e persino favole e fiabe che l'hanno preceduto.  
Le fiabe dei fratelli Grimm, ad esempio, spesso riprese e "addolcite" dalla Disney, sono in realtà molto cruente.
Biancaneve, dopo aver convinto il cacciatore a lasciarla in vita, sfugge ad altri due tentativi di omicidio orditi dalla perfida ed invidiosa matrigna prima di cadere addormentata a causa della mela avvelenata. La morale della narrazione appare evidente: non bisogna dare retta agli sconosciuti (Biancaneve rischia la vita per aver creduto alla matrigna, camuffatasi da merciaia) né lasciare che entrino in casa. Secondo alcune fonti, pare che la versione più antica del racconto prevedesse che fosse la madre biologica ad essere invidiosa della figlia fino a desiderarne la morte ed alcuni studiosi sollevano ipotesi di necrofilia per il principe, dal momento che a ridestare la fanciulla dal suo sonno, creduto mortale dal nobile d'azzurro vestito, non è un romantico bacio ma un inciampo di servitori maldestri.
La matrigna, dal canto suo, viene costretta ad indossare scarpe arroventate e con queste danzare al matrimonio della figlia con il principe sino a cadere morta. Un racconto ben diverso da quello che si pensa comunemente, insomma.
E, comunque, anche nella sua versione "ripulita", come si può considerare una giovane ragazza che convive con non uno, non due, ma sette uomini con i quali non ha legami di parentela?

Hänsel e Gretel durante una terribile carestia vengono condotti dai genitori nel bosco con la scusa di far legna e lì abbandonati su insistenza della madre, fredda e calcolatrice, desiderosa di salvare se stessa invece dei figli. L'ingegno dei bambini, che avevano disseminato il sentiero di pietre bianche, consente loro di ritrovare la via di casa, ma la madre non demorde dal proprio intento ed il giorno seguente convince il marito a portare nuovamente i piccoli nel folto della foresta.
Il bosco, luogo dello smarrimento (i sassolini bianchi non c'erano più e gli uccelli avevano mangiato le briciole del preziosissimo pane disseminate lungo il cammino), rivela però anche la sorpresa salvifica: una casetta interamente fatta di dolci. Ed è ancora una volta l'ingegno a consentire ai bambini di sfuggire alle grinfie della cattiva strega antropofaga e di far ritorno a casa, arricchitisi con i gioielli della vecchia che li aveva presi prigionieri dopo che l'ebbero bruciata nel forno. 
Care ragazze, attente al Lupo cattivo... 
Cappuccetto Rosso, nella sua versione più antica a noi nota di Charles Perrault (fine 1600), non ha un lieto fine; la ragazzina viene divorata dal lupo cattivo e, come se non bastasse, l'autore termina il racconto con un vero e proprio ammonimento: "Da questa storia si impara che i bambini, e specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia, fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti; e non è cosa strana se poi il Lupo ottiene la sua cena. Dico Lupo, perché non tutti i lupi sono della stessa sorta; ce n'è un tipo dall'apparenza encomiabile, che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato, ma mite, servizievole e gentile, che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro. Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose!".
Lupo, dunque, non inteso necessariamente come il quadrupede tanto diffuso all'epoca nei boschi europei, ma identificato nel ben più temibile bipede "mite, servizievole e gentile" che può insidiare la virtù delle "giovinette carine, cortesi e di buona famiglia".
E potrei continuare con esempi per ore (se lo desiderate, da qui parte l'articolata cronologia dei miei tweet in merito)!

Da sempre i racconti servono, prima ancora che ad intrattenere, ad educare: le favole di Esopo (VI sec. a. C.) terminavano molto spesso con le parole ο λόγος δηλοι ότι (= il racconto insegna che) e fin da quei tempi remoti l'intento pedagogico è evidente. Ci sono sempre lezioni da trarre. Lezioni che i bambini è bene apprendano per diventare adulti consapevoli e giudiziosi.
Nel corso dei millenni, sono cambiati i supporti, si è passati dalla trasmissione orale a quella scritta, sino alla multimediale, ma, oggi come allora, il pericolo non sta nelle favole, nelle fiabe o nei film d'animazione, bensì nell'impossibilità - o peggio ancora nel disinteresse - dei genitori nell'affiancare i figli fornendo loro spiegazioni educative.
Detto ciò, un'ultima considerazione circa Kung Fu Panda, il protagonista Po ed i suoi due papà: è evidente a chiunque abbia un minimo di buon senso che la teoria gender non c'entra niente, dal momento che il papà biologico e quello adottivo non hanno tra loro alcun legame. Non sono fidanzati, non convivono, non sognano di sposarsi. Sono, semplicemente, un papà panda che ha avuto un figlio insieme ad una mamma panda (senza nemmeno la procreazione assistita, cui spesso si fa ricorso nella realtà per i panda veri!) e che ha dovuto separarsene in circostanze drammatiche, per cercare di salvarlo, ed un papà adottivo anatra, single, che si è preso cura del cucciolo di panda e l'ha cresciuto. Come milioni di genitori adottivi nel mondo. Punto.

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