sabato 16 gennaio 2016

La libertà si conquista

Anni '60, le gambe delle donne si scoprono con le minigonne.
Il sabato mattina del 16 gennaio, mentre addentavo con gusto la mia brioche pere e cioccolato, ascoltavo piuttosto distrattamente la tv, sintonizzata su Rai Uno: a "Uno mattina in famiglia" si parlava dei fatti di Colonia e, più in generale, delle violenze che - a vario titolo: molestie, tentativo di stupro o furto - si sono verificate nella notte di Capodanno in quella e in molte altre città della Germania. E la mia attenzione è di colpo aumentata. Il conduttore Tiberio Timperi cercava, con ospiti in studio e collegamenti esterni, di analizzare la situazione ad oltre due settimane di distanza, alla ricerca di una soluzione. 

L'avvocato Giulia Bongiorno, da tempo impegnata nel campo della difesa dei diritti delle donne, in un suo intervento ha assunto toni lapidari in merito all'integrazione: "Non siamo noi a doverci integrare a loro, sono loro a doversi integrare a noi", cito a braccio senza stravolgere il senso della frase, che vorrebbe immigrati e richiedenti asilo pronti ad abbracciare la cultura del Paese che li ospita. 
Il giornalista Carlo Pannella, dal canto suo, ha puntualizzato la difficoltà di gestire l'arrivo, in pochi mesi, di centinaia di migliaia di persone, sottolineando sostanzialmente come sia errata la politica del "passate tutti" laddove non sia accompagnata da investimenti concreti per agevolare e consentire l'integrazione. 
Lorella Zanardo, autrice de Il corpo delle donne di cui ho più volte avuto modo di scrivere, dal canto suo si diceva preoccupata dalle parole dalla sindaco di Colonia che, all'indomani delle aggressioni, aveva suggerito alle donne di mantenersi alla distanza di un braccio da coloro che non conoscono.

Elena Lucrezia Cornaro Piscopia,
la prima donna laureata d'Italia e
del mondo, XVII secolo.
Alla mia mente si è affacciata una riflessione: forse noi europei - e probabilmente le donne europee più ancora, temo - ci siamo abituati alla libertà. Ci siamo dimenticati che la libertà non è un dono piovuto dal cielo, ma una conquista quotidiana, da difendere con i nostri comportamenti. 
Se io, donna, oggi non passo più dalla proprietà di mio padre a quella di mio marito come avveniva nel Medioevo non è per grazia ricevuta, ma perché ci si è battuti per questo; se io, donna, posso andare a scuola e persino all'università, posso laurearmi e lavorare fianco a fianco con degli uomini non è per dono divino, bensì il frutto di lotte e proteste e lente conquiste. 
Il diritto di sposare chi mi pare e piace sottraendomi al matrimonio combinato o alla clausura clericale, quello di studiare, il diritto di lavorare, il diritto di scegliere di indossare una minigonna o un paio di pantaloni (che, non dimentichiamocelo, erano "da uomini" fino a non moltissimi anni fa, tanto che si diceva che in casa comandava "chi porta i pantaloni"), il diritto di recarmi alle urne e votare... tutti questi non sono doni, sono l'eredità che le donne che mi hanno preceduta mi hanno lasciato. 
Ed io, come donna, ho il diritto ma pure il sacrosanto dovere di lottare per mantenere questi diritti perché - neppure questo va dimenticato - ciò che è stato conquistato può essere perso
Basta un attimo di distrazione. Basta che si diano le cose per scontate e naturali, quando così non sono.

Immagini pubblicitarie degli anni '60 in Iran,
prima della rivoluzione islamica.
Nella storia recente lo testimoniano bene i Paesi in cui si è assistito ad una radicalizzazione religiosa (oggi quella islamica, ma non dimentichiamo le nefandezze compiute in passato in nome della cristianità) come, ad esempio, l'Iran.
Qui tra il 1978 ed il 1979 (fermatevi un attimo e rileggete con attenzione le date, per cortesia: si parla dell'altro ieri, in termini storici) si ebbe la rivoluzione islamica, lo Scià Mohammad Reza Pahlavi venne deposto e salì al potere Ruhollah Khomeini; l'esito di questo sovvertimento politico e religioso è ben descritto nel libro "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi.
Ragazze a Cabul, Afghanistan, negli anni '70.
Immagine di Amnesty International .
Lo stesso Afghanistan, che noi abbiamo imparato a conoscere come patria dei talebani e delle donne ricoperte da capo a piedi, senza che neppure i loro occhi fossero visibili da dietro una fitta reticella di fili, nel 1970 vedeva le ragazze camminare per strada sfoggiando minigonne, camicette e scarpe col tacco.
Un discorso similare seppur non dai toni tanto estremi, per quanto riguarda le donne e le libertà individuali, potrebbe essere fatto per l'Egitto: autentico faro di civiltà nel passato più remoto (tanto da scandalizzare i Romani per la libertà d'azione e di decisione concessa alle donne), ha assistito nel corso dei millenni a significativi mutamenti in ambito dei diritti umani. 

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