Che poi d'un tratto hai una folgorazione e realizzi che non è mica un caso se pratichi T'ienshu.
Perché ribelle, sotto sotto, lo sei sempre stata.
Quando tutte giocavano a pallavolo e tu andavi a pattinare sul ghiaccio, ad esempio, o quando eri circondata da fighetti ben vestiti e ti mettevi il chiodo come fosse un'armatura. Perché non è un caso se il mondo festeggia Halloween e tu stai a casa, né se in Italia ci sono sette milioni di tatuati (il 13,8% della popolazione femminile, in crescita) e tu non ci pensi proprio a farti dipingere la pelle.
Perché dove ci sono le "figate", dove c'è "quello che fa tendenza", dove ci sono la "moda" e il "trendy", ecco: lì tu, semplicemente, scegli di andare da un'altra parte. Dalla tua parte. Contro corrente. Infischiandotene della massa e seguendo ciò che senti di essere, tu. Tu. Individualmente.
E allora non è un caso se sei finita a fare una disciplina che "valorizza l'uomo e non la tecnica", che dell'individualità fa un valore e non una colpa. Perché da sempre, fin dalla sua nascita, il T'ienshu è questo: uno strumento per portare l'essere umano ad avere consapevolezza di sé. Di se stesso. Al di là dei pugni e dei calci, al di là delle flessioni e degli addominali, quello che veramente conta è "conosci te stesso": fatti domande, chiediti se la strada che stai seguendo è davvero quella che vuoi per te, guardati attorno e dì con sincerità se quelli che hai per compagni di viaggio fanno davvero al caso tuo o se per caso non sarebbe meglio, ancora una volta, cambiare. Prendi un bel respiro e vai in profondità, alla ricerca di chi davvero sei.
Magari salterà fuori che sei un ribelle. E che, sotto sotto, lo sei sempre stato.
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