Anche il 2014 è stato funestato, fin dalle prime settimane, da fatti di cronaca nera che hanno avuto per protagoniste e vittime donne. Donne insultate, violate, picchiate, persino uccise da uomini, uomini che spesso dicevano di amarle.
E' questo il caso di Chiara, diciannovenne romana picchiata dal compagno fino a venir sfigurata e caduta in coma a inizio febbraio, e soltanto pochi giorni prima di questa Festa della Donna c'è chi è stata pestata tanto duramente dal convivente da abortire (qui l'articolo). Impossibile, poi, non ricordare Lidia Nusdorfi, accoltellata a morte dall'ex compagno alla stazione di Mozzate (qui l'articolo) il 2 marzo e Libanny Mejia Lopez, sgozzata insieme al suo figlioletto di soli 3 anni per aver respinto le avance di un conoscente il 4 marzo (qui l'articolo).
I dati emersi dal primo rapporto dell'Agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali, presentato a inizio marzo a Bruxelles, denunciano un quadro allarmante: 62 milioni di donne - più dell'intera popolazione italiana - hanno subìto violenza fisica o sessuale (o entrambe) e molte di loro tendono a non denunciare l'accaduto. Perchè spesso, proprio come nel caso di Chiara e della donna di Racale, l'aggressore è chi dice di amarle.
Al di fuori del contesto domestico, poi, molte sono le donne vittima di violenza conseguente alla cosiddetta microcriminalità: si va dalla commessa aggredita da quattro ubriachi in pieno centro a Roma (qui l'articolo), alla studentessa palpeggiata e salvatasi per miracolo dallo stupro in Calabria (qui l'articolo), dalla dipendente di una gioielleria tenuta in ostaggio e violentata nel corso di una rapina (qui l'articolo) all'anziana tenuta in ostaggio, picchiata e legata per un bottino di pochi euro (qui l'articolo)...
Reagire, però, è possibile e sempre più donne ne stanno prendendo coscienza: c'è chi denuncia, chi lascia il compagno violento e cerca rifugio in un centro d'accoglienza, chi non esce di casa senza lo spray al peperoncino in borsetta, chi frequenta corsi di autodifesa.
Proprio prendendo spunto da un terribile fatto di cronaca ha avuto origine, nel 1984, il metodo PAD, il Programma Autodifesa Donna ideato dal Maestro fondatore del Kung Fu T'Ienshu e realizzato basandosi sulla conoscenza e consapevolezza delle attività psico-fisiche della donna, sullo sviluppo delle attività percettive legate al mondo reale e sulla capacità coordinativa di difesa della propria persona. Generalmente le donne hanno una struttura fisica più minuta rispetto agli uomini, ma questo non necessariamente è uno svantaggio: il metodo PAD mira, prima ancora che ad insegnare tecniche di autodifesa, a sviluppare la consapevolezza di sè delle donne. Conoscendo se stesse, il proprio corpo e la propria emotività davanti a determinati avvenimenti si ha modo di scoprire i propri punti deboli ma anche le proprie capacità di reazione (spesso insospettate!), accrescendo così la sicurezza nelle proprie possibilità ed accrescendo l'autostima.
Quello proposto dal metodo PAD è dunque un percorso psicologico prima ancora che fisico, un cammino che porta la donna a non sentirsi vittima prima ancora che ad evitare di divenire possibile vittima.
Per approfondire:
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