Gli
esami sono sempre un passaggio importante, sorta di rito iniziatico che evidenzia lo scorrere del tempo: prima si è qualcosa, dopo si è gli stessi, ma non più uguali. I nostri antenati - e per la verità ancora oggi molte culture al mondo - si sottoponevano a
prove di coraggio per attestare il passaggio all'età adulta di un membro della comunità: gli adolescenti
Masai, per poter diventare guerrieri, devono sopportare il dolore della circoncisione e restare lontani dal villaggio con un gruppo di adulti, imparando le regole sociali e morali di un guerriero oltre che ad usare la lancia ed i rudimenti di caccia; i ragazzini
Inuit devono dimostrare di saper uccidere una foca, così da poter sfamare se stessi e il villaggio ed essere considerati adulti, mentre nelle steppe mongole i
discendenti di Gengis Khan si cimentano in corse di cavalli e addestrano aquile reali per cacciare le volpi...
Noi facciamo gli esami di maturità e di arti marziali, prendiamo la patente o passiamo dalle scuole elementari alle medie. Quella che segue è una breve analisi sociologica e psicologica degli
esami di Kung Fu stile T'Ienshu, sulla scorta di quanto da me osservato e vissuto nella
Scuola Wo Chen di Saronno e nella
Tao Chen di Aosta.
GLI ESAMI DI KUNG FU T'IENSHU - Anche se indubbiamente meno esotici, i nostri "
riti di passaggio" occidentali conservano la loro carica emotiva e non stupisce dunque che, in occasione dei recenti esami di Kung Fu T'Ienshu svoltisi a Saronno e ad Aosta, anche persone anagraficamente adulte abbiano sentito il peso della prova. I meno emozionati, nonostante la presenza di genitori, amici e parenti, sono stati infatti gli allievi più piccoli: da un lato, l'intera impostazione del Kung Fu T'Ienshu in questa fascia d'età - dai 6 ai 12 anni circa - è estremamente ludica e tende ad
appagare i naturali bisogni di socializzazione,
divertimento e
sana competizione; dall'altro i
bambini non hanno ancora interiorizzato molti degli
schemi mentali che caratterizzano la vita adulta e l'appagamento personale viene ancora anteposto a quello derivante dal compiacere gli altri. Il risultato?
Anche in sede d'esame si divertono, senza sentire su di se eccessiva pressione emotiva nè psicologica.
Diverso l'approccio del gruppo degli adulti all'esame, con tensioni differenti anche a seconda dell'età: gli
adolescenti, che non hanno ancora compeltamente formato la propria personalità e vivono in una sorta di "terra di mezzo" tra la fanciullezza e l'età adulta, spesso si identificano con i propri pari ed è il loro
giudizio che temono e la loro
approvazione che ricercano (non a caso è soprattutto in questa fascia d'età che si portano come spettatori fratelli e sorelle, amici o fidanzati oppure, viceversa, non si vorrebbero affatto spettatori); gli
adulti, dal canto loro, si trovano invece a dover
mettere in discussione se stessi, le proprie
certezze consolidate negli anni, e non manca chi si ritrova a far i conti con una
resistenza fisica che inevitabilmente non può essere paragonata a quella dei ventenni. In ogni caso, tanto per gli adolescenti quanto per gli adulti, l'esame porta con sè un carico psicologico/emotivo non trascurabile.
QUESTIONE DI FASCIA? - Sebbene tutti i passaggi di grado siano importanti e rappresentino una sorta di pietra miliare lungo il cammino marziale, da quanto ho potuto osservare, gli esami più coinvolgenti dal punto di vista psico/emotivo sono quello per ottenere la
fascia arancione, quello per la
fascia nera e quello per divenire
Maestro. La fascia arancione è la prima fascia "colorata" e, in certe Scuole, è anche la prima fascia "tangibile", dal momento che gli allievi fascia bianca possono - a discrezione della Scuola - non avere la cintura di stoffa bianca legata al fianco. Il conseguimento della fascia arancione, dunque, è ciò che maggiormente si avvicina ad un
rito iniziatico nel suo significato antropologico e culturale, in quanto evidenzia in modo tangibile e concreto che un percorso è stato svolto e che il soggetto, da semplice praticante, è ora un membro effettivo della Scuola ed ha intrapreso un percorso di crescita di cui la fascia arancione simboleggia il primo gradino raggiunto. Al capo opposto troviamo la fascia nera, ultimo gradino nella scala dello studente che, non a caso, la riveste di esterma importanza: che sia vista come
simbolico traguardo dopo un impegno pluriennale o come
tappa intermedia che separa lo studente di ieri dal Maestro di domani, la fascia nera dà corpo ad una
netta cesura temporale ed è pertanto evidente, nel conseguimento di questa striscia di stoffa, la profonda valenza di "passaggio" da uno stato ad un altro. Sebbene all'interno del T'Ienshu venga dato il massimo valore all'essere umano e non vi siano quindi obblighi di alcun genere collegati al conseguimento della fascia nera, ciò nonostante la maggior parte dei praticanti giunti a questo livello o
abbandonano poco dopo, sentendosi "arrivati", oppure, viceversa, intraprendono il percorso che li condurrà all'
insegnamento. Potrebbero, semplicemente, continuare a praticare T'Ienshu? Certamente sì. Tuttavia non è questa la scelta effettuata dai più.
Infine il grado di Maestro. Sebbene, per riprendere i parallelismi con diverse culture antropologiche, possa essere facile cadere nella tentazione di paragonare il Maestro di T'Ienshu allo
sciamano o al
capo tribù, in realtà non è così: lo sciamano è, tradizionalmente, "colui che detiene il sapere" mentre il capo di una comunità tribale spesso è tale perchè è il più forte e/o il più saggio del gruppo umano che rappresenta; il Maestro di T'Ienshu deve chiaramente possedere
conoscenze marziali tecnico/applicative e deve al tempo stesso aver interiorizzato e fatti suoi i
princìpi cardine di questa disciplina, tuttavia, quasi paradossalmente, spesso
il Maestro è colui che sente di aver maggiormente da imparare. Anche quando si consegue il grado di Maestro, dunque, ritengo si possa parlare di "iniziazione", poichè questo forse più di tutti gli altri rappresenta il primo passo su un nuovo sentiero di conoscenza, di sè, degli altri e della realtà che ci circonda.
DIVERSI ESAMI, UN SOLO ESAME - Sebbene ciascuna Scuola e ciascun Responsabile di Scuola organizzino esami differenti - suddivisi in più giorni o concentrati in alcune ore, più incentrati sull'aspetto fisico o più indirizzati al carattere filosofico/teorico, aperti al pubblico o a porte chiuse e via dicendo - ciò che ho potuto rilevare è il
filo conduttore che accomuna tutti gli esaminati, di qualunque grado essi fossero: la
tensione a far bene, a
dare il massimo. Mi ha molto colpita osservare una giovane donna, istruttrice capace, saltellare nervosamente prima di un esame in Valle d'Aosta: sentiva su di sè non soltanto la pressione che la riguardava in prima persona, ma anche quella dei propri allievi; se loro avessero sbagliato, il fallimento sarebbe stato anche suo. O, almeno, lei l'avrebbe vissuto come tale. E il suo corpo esprimeva tutta questa irrequietezza, questa tensione emotiva.
Un'esperienza che mi ha richamato alla mente i casi di Claudia Gerini ed Elisabetta Canalis: donne famose ed ammirate nella nostra società occidentale, che ciò nonostante hanno normalmente vissuto con tensione i propri esami di arti marziali e che hanno poi orgogliosamente festeggiato il risultato. Non credo che la loro fosse "pubblicità a buon mercato", ritengo invece che anche loro siano persone e, in quanto tali, affrontino le loro fragilità nel corso di diversi esami, festeggiando poi quando si accorgono di essere un po' più forti e consapevoli.