mercoledì 30 gennaio 2013

Scorze d'arancia candite

Cosa fate quando decidete di mangiare un'arancia? La prendete, la lavate ben bene, la private della buccia, ne gustate gli spicchi e gettate le scorze nell'immondizia. Sbagliato! Errore madornale! Perchè con la buccia delle arance non trattate si possono ricavare delle squisite scorzette d'arancia candita.
Dopo anni e anni di scorze gettate in pattumiera, questa illuminazione ha fatto sì che mi auto insultassi per qualche tempo e mi decidessi, poi, a mettere in pratica il mio proposito di "riciclo estremo": dell'arancia non si butta via nulla!

La preparazione è di una semplicità imbarazzante, ma, come quella dei pomodori verdi, anche questa ricetta richiede un tempo di realizzazione luuuunghisssssimooooo. Tenete presente che dovrà passare una settimana dal momento in cui avrete pensato "Và, quasi quasi mi faccio le scorze d'arancia candite!" a quando effettivamente le gusterete; il lato positivo, però, è che potete quasi dimenticarvi delle scorze, da tanto è facile prepararle, e dedicare la vostra attenzione alla realizzazione di pranzetti e cenette succulenti o a quel che più vi piace.

Occorrente:
arance non trattate, acqua, zucchero e tanta, tanta pazienza.

Per prima cosa lavate ben bene le vostre arance, privatele della buccia tagliandola a spicchi per il senso della lunghezza e cercando di non romperla quando la asportate. Mettete tutte le scorzette in una pentola con abbondante acqua fredda e abbandonatele lì tutto il giorno, cambiando l'acqua due o tre volte nel corso della giornata.

Il mattino seguente, cambiate nuovamente l'acqua e abbandonate di nuovo le scorzette a mollo. Proprio come il primo giorno, anche oggi dovrete aver cura soltanto di cambiare l'acqua fredda per due o tre volte nell'arco della giornata. Questo serve per far perdere l'amaro alle scorze.

Terzo giorno. Identico al primo e al secondo. Vi confesso che io, la prima volta che le ho preparate, mi sono sentita precipitata dentro il "Giorno della Marmotta"! Ma, come già avvenuto in passato, le ricette della nonna non si discutono: tre giorni ha detto, tre giorni siano.

Il quarto giorno la musica cambia: in un pentolino abbastanza capiente si deve preparare uno sciroppo fatto con zucchero ed acqua in proporzione di 2 a 1; quando lo sciroppo inizia a bollire, ci si tuffa le scorze e le si lascia a mollo per 3 o 4 minuti, poi le si toglie - conservando lo sciroppo, che servirà anche nei giorni seguenti! - e le si mette ad asciugare su una griglia. 

Il quinto giorno si replica con un nuovo bagnetto di 3 o 4 minuti nello sciroppo, portato nuovamente ad ebollizione. Di tanto in tanto si mescolano le scorze, in modo che tutte vengano immerse ben bene nello sciroppo prima di venirne estratte e messe ad asciugare sulla griglia. Trascorse alcune ore, quando le scorze saranno ben asciutte, via!, altra immersione nello sciroppo, sempre per i soliti 3 o 4 minuti.

Indovinate un po' cosa si fa il sesto giorno? Giusto! Si prendono le nostre scorze e si fa fare loro un altro bagnetto nello sciroppo, sempre per qualche minuto dopo che questo è giunto a ebollizione. Le si mette poi ad asciugare, come di consueto, e quando saranno ben asciutte si immergeranno nuovamente nello sciroppo bollente per alcuni minuti, mettendole poi nuovamente sulla griglia.
Se volete gustare scorze candite cosparse di zucchero, passatele nello zucchero semolato prima che siano completamente asciutte. Una volta asciugate completamente, potete immergerle in parte nel cioccolato fuso, lasciandole poi a scolare sulla solita griglia fino a quando il cioccolato non si sarà completamente rappreso, oppure...

Oppure il settimo giorno potrete riposarvi gustando queste scorzette da sole o abbinate a qualche dessert al cioccolato. Un lungo lavoro, ma ne è valsa la pena, vero?



lunedì 28 gennaio 2013

Pattinaggio su ghiaccio: l'Europa s'inchina all'Italia

Si sono conclusi i Campionati Europei di pattinaggio artistico e di figura e l'Italia può vantare risultati  maiuscoli. Merito di una Carolina Kostner in stato di grazia, che è riuscita a domare le giovanissime russe (entrambe ancora minorenni!) Adelina Sotnikova e Elizaveta Tuktamysheva con un programma libero assolutamente perfetto (9 la media del voto conquistato dal suo "Bolero"), conquistando così il suo quinto oro europeo, ma merito pure di una brava e grintosissima Valentina Marchei, purtroppo relegata ancora a un passo dal podio.

Carolina Kostner, settimo podio conquistato agli Europei

A scrivere il nome della nostra nazione in lettere dorate nella storia del pattinaggio hanno contribuito poi Stefania Berton e Ondrej Hotarek che, con uno splendido programma, hanno conquistato il terzo posto nella gara di artistico a coppie: il primo podio europeo di sempre nella storia di questa disciplina per l'Italia.

Ondrej Hotarek solleva Stefania Berton.
Una classe e un affiatamento che valgono il primo podio italiano

Un altro prestigioso bronzo europeo arriva poi dalla collaudatissima e sempre più affiatata coppia di danza: Anna Cappellini e Luca La Notte regalano una medaglia al nostro Paese grazie ad una "Carmen" capace di incantare.
Un Campionato Europeo ricco di soddisfazioni, dunque, ma che forse fa risaltare ancora di più la mancanza di un atleta che sappia competere ad altri livelli nel singolo maschile: fuori sia Paul Bonifacio Parkinson che Paolo Bacchini prima di giungere alla finale. Un peccato.

Poco o nulla centra con l'Italia lo spagnolo Javier Fernandez, primo podio nella Storia (e subito con un oro!) per la Spagna in una competizione internazionale, ma mi pare giusto citarlo visto che la stampa di casa sua ha liquidato l'impresa con una media di tre righe. Lui, sportivamente, ci aveva riso su da subito, profetizzando dall'alto del podio: "Rubare spazio a Casillas e Messi? Non credo proprio" e infatti il suo vaticinio ha trovato triste conferma. Ecco, forse in comune con l'Italia c'è questo: che neppure i successi più grandi riescono a distogliere l'attenzione da quel carrozzone corrotto e fasullo che è divenuto il calcio.

domenica 27 gennaio 2013

Jack il delfino e altre storie di mare


I delfini e, più in generale, i grandi mammiferi marini affascinano da sempre l'essere umano: che si considerassero reincarnazioni di marinai morti, come nella Grecia antica, o progenitori della propria stirpe, come nel caso di alcuni nativi canadesi, che li si ritenesse mostri marini capaci di astuzie e di azioni diaboliche come narravano i balenieri del '900 o che li si considerasse fratelli in questa nostra Madre Terra, in ogni caso tursiopi, balene, grampi, orche e delfini occupano fin dalla notte dei tempi un posto speciale nell'animo umano.

Alcuni di loro, poi, si sono resi protagonisti - più o meno consapevolmente, più o meno volontariamente - di vicende eccezionali, fuori dall'ordinario, che li hanno portati a stretto contatto con gli uomini e tramutati da animali, per quanto affascinanti ma pur sempre "normali", in simboli. E' questo il caso, ad esempio, dell'orca Keiko, più nota con il nome di Willy - sì, quella del libro e del film "Free Willy" - la cui triste storia non a caso trova spazio nelle pagine di questo libro, scritto da Marco Affronte, naturalista e divulgatore scientifico con al proprio attivo la pubblicazione di sette libri, il più recente dei quali è, appunto, "Jack il delfino".

Oltre a Keiko, catturato in giovanissima età e recluso per oltre un ventennio in acquario, sono però molte le creature che volontariamente hanno scelto di avvicinarsi all'uomo: il Jack che da il titolo all'opera è proprio una di queste, un delfino - per la precisione un grampo - che sul finire del 1880 decise di stabilire la propria dimora accanto ad un'isola della Nuova Zelanda e si dedicò con passione all'accompagnamento delle navi dentro e fuori dal porto, con grande stupore e divertimento dei passeggeri, tanto da divenire il beniamino della zona - anche se purtroppo non mancano mai gli imbecilli, nè di certo mancavano sul finire dell'800 - guadagnarsi il nome di Pelorus Jack e tramutarsi in una sorta di creatura leggendaria al momento della sua scomparsa. 
Cosa spinga un cetaceo ad avvicinarsi all'uomo - talvolta correndo grossi rischi e persino arrivando alla morte - resta un mistero a meno che, come nel caso di Keiko o della "piccola" J.J., l'avvicinamento non sia del tutto involontario.

J.J. era un cucciolo di balena grigia che, nel 1997, si agitava solo e spaventato nelle acque basse di Marina del Rey a Los Angeles; la ricerca della madre fu del tutto vana e così il cucciolo - una "bestiolina" che a circa tre mesi di vita e nonostante la denutrizione misurava già 4,2 metri - venne ricoverato all'interno del Sea World. Sottoalimentata, malata e troppo precocemente allontanata dalla madre, J.J. divenne simbolo di una - costosissima - sfida: riuscire a restituire questo animale alla vita selvatica, fare in modo che tornasse ad unirsi alle balene grigie che ogni anno compiono spettacolari migrazioni oceaniche.

Il video della "piccola" balena grigia J.J.



Altre volte, invece, sono proprio gli animali ad avvicinarsi di loro iniziativa agli esseri umani: è questo, ad esempio, il caso di Donald, un delfino che negli anni '70 si era stabilito nelle vicinanze dell'Isola di Man e che non disdegnava affatto la presenza degli uomini, tanto da soffermarsi a giocare con sub e turisti. Di più: pare che Donald si fosse innamorato di una donna, Maura. Di norma cerco di non umanizzare gli animali ed i loro comportamenti, eppure mi viene difficile non parlare di "innamoramento" dopo aver letto che questo delfino non solo aveva creato un rapporto privilegiato e persino quasi esclusivo con Maura, ma arrivava persino ad esserne geloso e "mostrava anche atteggiamenti di tipo sessuale, con comportamenti di possessività [...] oltre a manifestazioni evidenti della sua sessualità come l'erezione del pene".

I casi di lonely dolphins e di cetacei che entrano in contatto continuativo con l'uomo sono dunque numerosi e molto diversificati tra loro; questo libro ne fornisce un'ampia carrellata, approfondendo in modo mai noioso la storia di ciascun caso. Non mancano le vicende di delfini italiani, come Filippo e Andrea, anche se personalmente la storia che mi è piaciuta più di tutte è quella del tursiope irlandese Fungie.

Titolo: Jack il delfino e altre storie di mare
Autore: Marco Affronte
Editore: De Vecchi
Anno di edizione: 2012

venerdì 25 gennaio 2013

Regina di bastoni, il Kali Escrima

Tra i miei molteplici interessi, lo confesso, non figurano le carte da gioco - ad eccezione di qualche sporadica partitella a scala 40 con gli amici - e certamente non rientro nel numero di persone convinte del fatto che da un mazzo di tarocchi possano scaturire suggerimenti per il futuro. Cosa accidenti ci fa, allora, una regina di bastoni qui in mezzo? Beh, come spiegare altrimenti le meraviglie del Kali? Il Kali è un'arte marziale filippina di origini antichissime che utilizza armi come spade, coltelli e, appunto bastoni; quando i conquistatori spagnoli arrivarono nelle Filippine impararono ben presto a conoscere e temere questo formidabile sistema di combattimento, sperimentandone la letale efficacia in prima persona: lo stesso Ferdinando Magellano trovò la morte a causa del Kali, durante uno scontro con il re locale Lapu-Lapu nel 1521. Non a caso quando le Filippine vennero conquistate, in seguito a numerose e sanguinose battaglie, gli spagnoli misero al bando quest'arte marziale, sostituendola con la scherma spagnola. Il Kali però non si estinse: continuò a vivere celato nelle danze e nei rituali locali ed alcuni suoi elementi si fusero con le tecniche di spada introdotte dagli stranieri conquistatori. Anche per questo motivo oggi si parla indifferentemente di Kali o Escrima, che in filippino Tagalong ha lo stesso significato di "esgrima" in spagnolo, ovvero sia "scherma".

Una particolarità di questa disciplina consiste nel fatto che si inizino ad usare da subito le armi e che si proceda poi con l'apprendimento delle tecniche a mani nude: in pratica, il contrario di quanto avviene solitamente con le arti marziali. Facendo poi affidamento su rapidità e precisione dei colpi, questo sistema di combattimento si rivela particolarmente adatto anche alle donne - e qui torniamo alla storia della regina di bastoni - che spesso riescono a mettere in difficoltà i compagni d'allenamento maschi: è questo, ad esempio, il caso di una minuta signora filippina che si rende protagonista di un'illuminante esibizione nel corso di una puntata dei documentari "Fight Quest" incentrata proprio sull'Escrima.

All'Accademia Marziale Saronno si tengono anche corsi di Kali e quello che segue è uno dei più recenti filmati realizzati, nel quale potrete vedere all'opera anche la sottoscritta ed una giovanissima quanto grintosa compagna d'allenamento, insieme naturalmente al Maestro ed ai ragazzi del corso. Non che noi due siamo regine di bastoni, eh!, tutt'al più ancelle... Ma bando alle ciance, ecco il filmato!

domenica 20 gennaio 2013

Incontro con Marina Morpurgo alla Libreria Pagina 18

Sabato 19 gennaio risultava occupato, nella mia agenda, già da tempo. Marina Morpurgo sarebbe venuta in città, alla libreria dei miei spacciatori di libri di fiducia, per presentare il suo ultimo genito - non un figlio che andasse ad accodarsi al Tristo e alla Piccola, ma il suo terzo parto letterario - e francamente non avevo intenzione di perdermi quest'occasione per incontrarla.

Dietro consiglio della fantastica Carla - la "spacciatrice" di cui sopra - avevo già provveduto ad acquistare, leggere, apprezzare e spacciare a mia volta a piene mani "Risorse disumane" (se ve la siete persa e vi dovesse interessare, la mia recensione la trovate qui), quindi mi recavo all'appuntamento preparata dal punto di vista letterario, ma... come ci si veste per incontrare una famosa autrice? 

Il "magnifico trio" 
Lustrini e paillettes non fanno per me, il tailleur "buono" non lo indosso più dai tempi della mia ultima conferenza stampa (mio Dio, ma ci starò ancora lì dentro? Forse è il caso che un giorno o l'altro provi a infilarmi di nuovo nei pantaloni) e poi nevischia pure. Dai, jeans e maglione: in fondo, se Marina somiglia anche solo vagamente alle protagoniste dei suoi romanzi, non credo che si presenterà glitterata e svettante su un tacco 12! Alla Libreria Pagina 18 di Carla e Giulio, poi, mi sento come a casa: se mi vedono arrivare tirata a lucido, capace che Giulio mi sfotte per il prossimo ventennio. E jeans e maglione siano. Porto con me anche la macchina fotografica (ti pare che esco senza, in un'occasione simile?) e naturalmente il mio trio: "Sono pazza di te (ma fino a un certo punto)", "La scrittrice criminale" e "Risorse disumane", vedrò di sfoderare un po' di sana faccia tosta e chiedere all'autrice di autografarmeli.

Arrivo in libreria con un anticipo fantozziano. Al sopraggiungere di Marina tiro un sospiro di sollievo: niente aria di superiorità da scrittrice affermata (eppure ne avrebbe anche diritto, forte del suo curriculum di giornalista, traduttrice e autrice), si presenta accompagnata da Blasco, adorabile cagnone pelliccione bianconero che, nonostante la mole, si rende subito invisibile acquattandosi buono buono. E indossa maglione e jeans, ovviamente senza tacco 12. Proprio come avrei immaginato una Scrittrice Criminale o una rapitrice e rieducatrice di malefici Dottor R.

Emozionata accanto a Marina, che cerca di far avvicinare
il ritroso Blasco
L'incontro delle lettrici con lei è disteso e piacevolissimo, quasi una chiacchierata tra vecchie conoscenti più che non una presentazione letteraria sebbene, ovviamente, si parli innanzi tutto di "Risorse disumane" per ampliare poi l'orizzonte andando ad abbracciare le altre sue opere e ci si spinga - poteva essere altrimenti? - col chiedere anticipazioni succulente circa la serie di Agatha Raisin, che Marina traduce sin dal primo, fortunato volume "Agatha Raisin e la quiche letale". La ultra cinquantenne e bruttina Agatha riuscirà o no a sposarsi con James? E qualcuno prenderà finalmente a padellate in testa quell'insopportabile ometto? Cosa bolle in pentola dopo l'ultimo romanzo pubblicato in Italia? E poi ecco che si torna a Marina come autrice: quanto c'è di autobiografico nella "Scrittrice Criminale"? Sua mamma le telefona veramente dicendole di scrivere un bestseller che sia come Harry Potter ma scritto dalla Fallaci? Quanto i suoi figli somigliano al Tristo e alla Piccola? E lo spregevole Dottor R. esiste davvero? Che fine ha fatto? Il suo corpo senza vita sfama quei quattro cavedani temerari che osano resistere tra le acque dei navigli di Milano? Oppure, come ogni bastardo che si rispetti, gode di ottima salute e prospera sulle disgrazie altrui?

Giulio ci dice "guardate l'uccellino", Marina ed io ubbidiamo
E lei, Marina, sta già lavorando a una nuova opera? Ebbene sì: un dramma sta prendendo forma. Un dramma?!? Grazie al cielo ho il sedere ben piazzato sulla sedia, altrimenti rischierei di finire stesa a terra! Ma come, lei che "in genere crede che ridere sia meglio che piangere" lavora alla stesura di un dramma? Che prende il via da una tormentata storia d'amore, per di più! Segretamente prego che questa sua opera si risolva in una sorta di ironico plagio di "Romeo e Giulietta", ma prima di criticare aspetto di leggere: in fondo, credo sia naturale che uno scrittore non voglia rimanere ancorato ad un genere letterario, proprio come capisco che un attore non voglia trascorrere tutta la propria vita professionale interpretando "il cattivo" o "quello che muore per dimostrare che la situazione è grave".
Buona buona mi riprometto di aspettare la pubblicazione di questa nuova opera, gioiosamente ottengo gli autografi ed estorco a Marina persino alcune fotografie, la ringrazio (è la terza o la trentesima volta che pronuncio la parola "grazie"?), saluto lei, Giulio e Carla, ovviamente anche il cagnone (ma da lontano, che non gradisce le effusioni dalle sconosciute) e mi avvio verso casa. Continua a nevicare debolmente, ma i miei passi non lasciano impronte: colpa della neve troppo annacquata o sto fluttuando in aria dalla contentezza?

sabato 19 gennaio 2013

Il costume di Carnevale? Economico ed ecologico, please

Che la crisi economica abbia colpito o meno il nostro conto corrente, potremmo desiderare di realizzare un costume di Carnevale con le nostre mani, utilizzando materiali di recupero: un modo simpatico per dare libero sfogo alla nostra fantasia, ricordarci di avere delle mani capaci di creare e, perchè no, strizzare l'occhio anche all'ambiente evitando sprechi ma ricorrendo invece a oggetti di riciclo.

L'idea, secondo me geniale, è venuta a NonnAnna che ne ha parlato sul suo blog e si è ripromessa di raccogliere tutti i suggerimenti di chi vorrà dire la sua sull'argomento. 
Partecipare è semplice: basta inserire l'immagine del riciclo che trovate qui sotto sul proprio blog, scrivere il suggerimento e, chiaramente, farlo sapere a NonnAnna.


A me sono venuti in mente tre possibili travestimenti, due spudoratamente copiati da amici e uno inventato e realizzato in prima persona. Eccoli qui di seguito, con tanto di spiegazione passo a passo per poterli creare.

1. Il dado da gioco. Questo costume di Carnevale l'avevo visto realizzato e indossato da una mia vicina di casa quando ero soltanto una ragazzina, ma mi aveva colpita per l'originalità ed è stato il primo che mi è venuto in mente quando ho pensato di partecipare a questa raccolta d'idee. Realizzarlo è facilissimo: bastano uno scatolone di cartone a forma di cubo, un piatto, del cartoncino nero, della tempera bianca, un cappellino nero, una matita, forbici e colla. 
Per prima cosa si colora con la tempera bianca l'intera superficie dello scatolone. Con la matita si disegna il contorno del piatto sul lato alto, dal quale sbucherà poi la testa, e si ritaglia: quello sarà il lato con il simbolo "1" del dado (ecco a cosa serve il cappellino nero, a fare il "punto" del dado!). Al centro dei due lati che terremo al fianco si realizzano altri due buchi, che saranno gli spazi dai quali usciranno le braccia nonchè i "punti" centrali dei numeri 3 e 5. Sui lati che formeranno schiena e fronte disegneremo dei cerchi delle stesse dimensioni e incolleremo poi i "punti" ricavati dal cartoncino nero.
Se si vuole proprio strafare - e se abbiamo già questi capi di abbigliamento nel nostro armadio - si possono indossare un maglione ed un paio di pantaloni neri per completare l'effetto.

2. L'angelo. Anche questa idea, copiata senza vergogna! Se nell'armadio avete una vecchia camicia da notte bianca o azzurra o rosa, sarà perfetta come "abito base angelico". Se avete in programma di festeggiare il Carnevale per strada, tenete presente che potrebbe fare parecchio freddo, quindi copritevi bene sotto (ovviamente cercando, per quanto possibile, di usare abiti dai colori tenui che non "sparino" troppo da sotto la camicia da notte)! Oltre al camicione serviranno dei piattini di carta bianchi o in colori tenui, "capelli d'angelo" dorati o d'argento (quei cosi lunghi e "pelosi", fatti di tanti sottili fili dorati o argentati, che si mettono sugli alberi di Natale), colla (meglio se colla a caldo), del fil di ferro, nastro adesivo.
Utilizziamo parte dei capelli d'angelo per realizzare la nostra cintura, che legheremo in vita semplicemente con un nodo, rimborsando leggermente la camicia da notte. Con il fil di ferro creiamo una specie di "antenna parabolica" che sarà la nostra aureola: partiamo dal centro delle nostre scapole, saliamo dritti fin sopra la nostra testa e poi modelliamo il fil di ferro a forma di cerchio. Mettiamo dei punti di colla a caldo e facciamo aderire i capelli d'angelo soltanto al cerchio (la parte dritta, che collegherà l'aureola alla schiena, è meno visibile se rimane di solo fil di ferro). A questo punto ci mancano le ali! Ho cercato in giro foto che spiegassero bene come devono essere, ma alla fine l'immagine migliore è risultata essere questa


trovata su un sito americano, con tanto di tutorial per realizzarle. Io invece della fettuccia ho utilizzato ciò che restava dei capelli d'angelo. Una volta fatte le ali, al centro del piatto che verrà posato sulla nostra schiena fisseremo con un bel po' di nastro adesivo l'aureola, ovviamente all'interno (cioè la base del fil di ferro deve restare nascosta tra il piattino e la nostra schiena). Fatto!

3. L'antico guerriero. Occorrente: pantaloni e maglione in colori "naturali" (grigio, marrone, beige...), un ritaglio di stoffa abbastanza ampio da ricavarne una larga casacca e/o un mantello, una cintura in simil pelle o, al limite, anche un pezzo di corda, una spada (non necessariamente vera!). 
Qui vi metto una foto che ritrae me ed una compagna di allenamenti in "tenuta estiva", dal momento che ci trovavamo a "Celtica", ma basta sostituire i capi leggeri con pantaloni e maglione pesante per ottenere un ottimo effetto d'insieme. Vanno benissimo pantaloni e maglioni vecchi, pure rammendati e palesemente usurati: si sa che nell'antichità i capi di vestiario dovevano durare una vita! Se poi i colori dovessero essere brillanti, come nel caso dei capi indossati dalla mia "socia", basterà un piccolissimo investimento in cartoleria per comprare un bel paio di orecchie a punta e il guerriero si trasformerà in un perfetto elfo dei boschi!
La spada, sia per contenere i costi che per limitare i danni (soprattutto se finirà nelle mani di bambini!) va benissimo in plastica o legno.


Queste sono soltanto alcune idee, ma aspetto di leggere tanti altri suggerimenti per travestimenti ecofriendly e low cost sul blog di NonnAnna! Dai, scatenate la vostra fantasia! :-)

giovedì 17 gennaio 2013

A.A.A. gatti di Milano cercano casa

Nella cantina di un palazzone tutti i gattini senza padrone organizzarono una riunione per precisare la situazione... Comincia con queste parole quella che forse è la più celebre canzone che ha per protagonisti indiscussi i mici: "44 gatti".
Adesso, nella realtà, la riunione l'hanno organizzata i volontari del Parco Canile di Milano, presso il quale si trova anche un meno noto ma senza dubbio utilissimo Gattile che accoglie ogni anno centinaia di mici trovatelli e abbandonati.

I volontari ogni giorno si occupano amorevolmente di queste creature, non facendo mancare loro cibo nè coccole, ma è ovvio che la loro speranza è quella di trovare chi adotti le bestiole, assicurando loro affetto e cure; per questo è stato realizzato questo bel filmato, che condivido con voi



Il Comune di Milano ha sostenuto l'appello dei volontari e presto l'invito ad adottare questi micetti e micioni si è diffuso: io, ad esempio, arrivo dopo la pubblicazione dell'appello sul blog di Ilaria e su quello di mio marito, ma ho voluto contribuire anch'io - seppur nel mio piccolo, sebbene forse in ritardo rispetto ad altri - a diffondere questo avviso. 

Davide ed io dividiamo le nostre vite con un cane e due gatti, adottare un altro animale è assolutamente fuori questione, ma speriamo che qualcuno passi dai nostri blog, legga e... faccia la scelta giusta!
Chi può, regali ad un gatto una casa e una vita di coccole; chi non può, contribuisca alla causa diffondendo l'appello. Grazie, anche a nome di quei fortunelli di Pelpa e Puxi!




mercoledì 16 gennaio 2013

Arancini di riso vegani, ovvero...

...come riciclare un disastro! Questa ricetta è nata da un mio pasticcio in cucina ma, come spesso accadeva per le nostre nonne, il rifiutarsi di buttare il cibo ha dato vita ad un piatto più che dignitoso. Se andiamo indietro nel tempo, ci è facile scoprire che alcune delle ricette più gustose della tradizione italiana hanno le loro origini nel desiderio di non sprecare gli avanzi: una buonissima abitudine, dettata dai tempi di ristrettezze vissuti dalle nostre mamme e nonne, che ha dato i natali a piatti poi entrati di diritto nella tradizione della cucina come, ad esempio, il polpettone o la frittata di patate o la pasta ai quattro (o più) formaggi...

Ma torniamo ai miei arancini di riso vegani. Come certamente saprete, passo buona parte delle mie serate in palestra; al ritorno, per ottimizzare i tempi, mentre mio marito si fa la doccia io inizio a preparare la cena e poi ci diamo il cambio, lui in cucina ed io sotto la doccia. Questi arancini sono stati partoriti grazie ad un provvidenziale errore di tempistica, che ha tramutato il nostro minestrone di verdura con riso in una sbobba improponibile: il riso ha superato i tempi di cottura, è diventato molliccio e si è "bevuto" tutto il passato di verdura nel quale era immerso!
Saltare la cena, ovviamente, non se ne parla nemmeno (provate voi a digiunare dopo due ore di Kung Fu!); buttare tutto e preparare altro, neppure. E allora, che si fa?

Semplicissimo: si prende del pan grattato, si mischia a quello che avrebbe dovuto essere un minestrone e se ne ricavano delle polpettine, che poi si provvede a friggere in olio bollente o, se preferite, si fanno saltare in padella antiaderente con un po' d'olio.


Se non siete vegani e avete in frigo dei tocchetti di formaggio, potete tagliarli a cubetti e mescolarli all'impasto di ex-minestrone e pan grattato: daranno più gusto al vostro piatto e rallegreranno anche gli occhi con quel loro bel filante formaggioso, appena inciderete gli arancini con la forchetta.

Se poi, come nel mio caso, il minestrone era in quantità tale da poter realizzare fin troppi arancini, non friggeteli tutti: tenete da parte quelli che vi servono per il pasto e surgelate gli altri, che potrete poi gustare qualche altra sera. Tornando dalla palestra, così, eviterete disastri in cucina e avrete già un piatto quasi pronto!


Questa ricetta partecipa al contest di Cucchiaio e Pentolone "La cucina del riciclo"; volete partecipare anche voi con una vostra ricetta anti-spreco? Semplicissimo: andate sul blog e iscrivetevi, postando una vostra ricetta riciclosa, naturalmente dopo averla inserita sul vostro blog debitamente corredata dal banner che trovate qui sotto.

lunedì 14 gennaio 2013

Krav Maga "estremo", lo stage di San Giuliano Milanese


Interessante e decisamente... d'impatto lo stage organizzato e tenuto dal Maestro Stefano Maiocchi, Istruttore capo dell'Aikma Italy e Direttore Tecnico Nazionale della FISCAM.
"Combat Tecniques in Extreme Situations" ha tenuto fede al proprio nome, puntando l'attenzione sulle tecniche di autodifesa più estreme da mettere in pratica, ad esempio, in caso di tentativo di dirottamento di un mezzo di trasporto pubblico.
Personalmente trovo condivisibile quanto affermato dal Maestro Maiocchi, il quale ha posto l'accento sull'atteggiamento mentale: nessuna tecnica si rivelerebbe efficace senza la necessaria concentrazione e determinazione. Anche per questo lo stage ha cercato di ricreare, per quanto possibile, condizioni di stress psicologico e fisico. Perchè quanto si prova in palestra, con tempi e regole ben stabilite, ha poco o nulla a che fare con ciò di cui siamo capaci quando ne va della nostra pelle.
Un sentito "grazie" dunque al Maestro Maiocchi, che mi ha offerto questa opportunità, oltre che naturalmente ai Maestri di Kung Fu T'Ienshu della Scuola Wo Chen, Davide Carpanese e Sabino Gemma, che non solo autorizzano la nostra partecipazione agli stage ma anzi la supportano ed incentivano, scorgendone sempre il lato formativo e di confronto.
Grazie anche a tutti i ragazzi del gruppo di Krav, coi quali è sempre un piacere collaborare e confrontarsi, e a tutti i praticanti e gli atleti che abbiamo avuto modo di conoscere nella giornata di ieri.
Alla prossima!

sabato 12 gennaio 2013

Tecniche di combattimento in situazioni estreme

Il Dirigente tecnico nazionale di Krav Maga per la FISCAM Stefano Maiocchi ha organizzato, per domenica 13 gennaio, un evento a dir poco particolare: "Combat Tecniques in Extreme Situations", uno stage in condizioni di combat estremo che prevede l'applicazione di tecniche di autodifesa e di disarmo su un mezzo di trasporto pubblico. Teatro della mattinata marziale sarà, infatti, un autobus granturismo.
Proprio per questo motivo, i posti disponibili sono limitati. Per informazioni e adesioni: info@wfc-selfdefenseacademy.it

Facciamoci conoscere... Kreattivamente


Quest'anno, per la prima volta (perchè prima ne ignoravo l'esistenza), aderisco a questa interessante iniziativa proposta dal blog Kreattiva, che si ripropone di ampliare le nostre conoscenze web, facendoci incontrare blogger che condividono i nostri interessi e passioni e nei quali difficilmente ci imbatteremmo "per caso" navigando nel mare magnum della rete.

Io, ad esempio, sono venuta a conoscenza dell'iniziativa grazie a BB, che già seguivo in quanto appassionata gattara, e grazie a "Fatti Conoscere" sono incappata in "Riuso Creativo"... I blog che aderiscono sono davvero tanti e certamente ne scoverete qualcuno (di cucina, di maglia e affini, di moda e fashion, di riciclo e natura...) che farà al caso vostro e che inizierete a seguire con piacere e interesse!
Io ho curiosato un pochino in giro tra i vari blog in elenco, ma credo di essere l'unica che parli di arti marziali, autodifesa, sport da ring... fortuna che non sono solo quelli gli interessi nella mia vita! He! He! He!
E poi, chissà, magari proprio grazie a questa iniziativa entrerò in contatto con qualche altra ragazza marziale!

Se anche voi volete partecipare a questa terza edizione di "Fatti conoscere" andate a questo indirizzo sul blog di Kreattiva, ma alla svelta: c'è tempo fino al 31 gennaio!


venerdì 11 gennaio 2013

Non sono mica Wonder Woman!


L'essere stata ferma, lontana dal tatami e praticamente senza il benchè minimo allenamento fisico, per quasi due anni ha scatenato in me un effetto inaspettato: ora che l'asma è scomparsa (mitica la mia pozione magica!), mi sto allenando come una pazza!
Lunedì, Kung Fu; martedì, JKD Kali; mercoledì, Kung Fu; giovedì, pattinaggio su ghiaccio; venerdì, Kung Fu al pomeriggio, JKD Kali la sera. Il sabato e la domenica, poi, se c'è la possibilità di partecipare a qualche stage non me lo lascio scappare.

In questi ultimi mesi sono in formissima, mi sento benissimo, ho già ampiamente smaltito la ciccetta accumulata a suon di antipasti, panettoni e squisitezze natalizie varie, la cellulite ha deciso che sono un'avversaria troppo dura per lei e ha levato le tende, ma... puff! Che stanchezza! Non sono mica Wonder Woman!

Mercoledì sera il Maestro ci ha deliziato con un allenamento di Kung Fu T'Ienshu particolare, definito di mini-mini-mini pressing (che se quello è il "mini-mini-mini" ho sinceramente paura di vedere come sia un allenamento con pressing reale!), con tecniche di calci e pugni a profusione in preparazione ai combattimenti. Bellissimo! Il giorno dopo, però, non ho voluto lasciarmi sfuggire la possibilità di andare a pattinare sul ghiaccio: ora che le feste sono finite, la pista è spesso semi deserta e capita sovente che ci siano istruttori e pattinatori "seri" che gentilmente dispensano consigli e dritte... un'occasione troppo ghiotta!
Così giovedì sera sono andata alla pista di ghiaccio di Saronno. E ho fatto un disastro dopo l'altro! Sono persino riuscita a cadere mentre provavo una sequenza di tre di valzer! Roba da principianti. E a momenti mi spianavo a pelle d'orso persino con una banalissima "libellula"! 

(vignetta di Luca Bonisoli, che ringrazio!)
Ma la cosa peggiore non è certo questa: uno, quando pattina, lo mette in conto di poter cadere. Nossignori, la cosa peggiore è che ora sono a pezzi! Non c'è un singolo muscolo del mio corpo che non mi faccia male! Sono talmente tanto indolenzita che ho scoperto di avere parti anatomiche di cui ignoravo l'esistenza, solo perchè ora mi fanno male.
Rientrando a casa ieri sera, per un momento ho persino pensato di accasciarmi sul pianerottolo e aspettare che mio marito rincasasse e, preso da pietà, mi portasse in braccio su per le scale sino al nostro appartamento... poi l'orgoglio ha avuto il sopravvento e ho arrancato lungo gli scalini.
Ma il lato più comico della faccenda sapete qual è? Che tra qualche ora dovrò essere in palestra per l'ultimo allenamento settimanale di Kung Fu! Oddiomuoiooo!!!

giovedì 10 gennaio 2013

Il terrazzino dei gerani timidi


Degna figlia degli anni '70, per me Anna Marchesini era indissolubilmente legata agli altri due membri del celeberrimo Trio comico "Marchesini, Lopez, Solenghi". Era la svanita Lucia e la Bella Figheira de "I Promessi Sposi" parodiati in tv, la signorina 'cccecata e perennemente zitella degli sketch della Rai anni '80 e via dicendo. Questo prima di leggere "Il terrazzino dei gerani timidi", suo libro d'esordio come autrice.

Osannato dalla critica e almeno altrettanto apprezzato dal pubblico, questo libro mi è stato regalato da un'amica Orsetta Brianzola più di un anno fa, ma soltanto ora trovo il modo - e il coraggio - di parlarne. Perchè sin dalle prime pagine sono tornata periodicamente a rileggere, in modo quasi spasmodico e certamente consolatorio, la parola "romanzo" ben impressa sulla quarta di copertina: il mio modo, forse puerile, per rassicurarmi circa il fatto che ciò che stringevo tra le mani non fosse un'autobiografia ma, al contrario, fosse un racconto ben infarcito di invenzioni e slanci pindarici.

Perchè, se è vero ed umanamente accettabile che un comico celi in sè tristezze e malinconie, io personalmente non trovo affatto accettabile che una bimbetta di neppure 10 anni possa trovare conforto alla sua tormentata esistenza rifugiandosi in un terrazzino dove nemmeno i gerani sono rigogliosi. A 10 anni un bambino, seppur nato nei non facili nè floridi anni '50, deve essere la gioia di vivere personificata. Deve avere l'argento vivo addosso. Deve correre e gridare e giocare e gioire! Deve!
A meno che non sia venuto al mondo in una travagliata valle africana e reclutato come bambino soldato, o che non viva nei luridi sobborghi di Calcutta e si veda costretto a rovistare nell'immondizia per sopravvivere, a quell'età non c'è bambino che non debba serenamente godersi la propria infanzia (e, ben inteso, anche i bimbi soldato e quelli di Calcutta dovrebbero poter gioire della propria età, lontani da guerre e miseria!).

La bambina del romanzo, invece, è un'adolescente insoddisfatta e malinconica imprigionata in un corpo di almeno 5 anni troppo piccolo. Il malessere e la tirchieria della madre le causano dolore e mestizia, l'inefficienza e la stolta burocrazia della scuola rendono il suo esordio alle elementari un calvario che Anna tramuta in una valle di lacrime, il lutto e la follia di Terenzio vengono perfettamente compresi da questa piccola donna che se ne fa partecipe... Una delusione dopo l'altra, tristezze che si inseguono e rincorrono originando una lunga collana di perle grigio fumo che Anna indossa quotidianamente e che cresce insieme a lei, aumentando di lunghezza e peso, autoalimentandosi di nuove perle di mestizia ogni sera che Anna cerca rifugio nel suo terrazzino dai gerani malinconici e timidi.

Titolo: Il terrazzino dei gerani timidi
Autore: Anna Marchesini
Editore: BUR Romanzo
Anno di edizione: 2011

mercoledì 9 gennaio 2013

La marmellata di arance

Quest'anno ci è stato donato un sacco colmo di splendide, succose arance. Letteralmente un sacco, nel senso di borsona della spesa piena zeppa.
L'arancio (Citrus x sinensis) è un frutto dalla storia antichissima e controversa: pare, infatti, che non sia stato creato da Madre Natura così com'è oggi, ma che sia stato originato da un'ibridazione tra il mandarino e l'ancor più antico pomelo, sorta di antenato di tutti gli agrumi oggi esistenti. Certo è, comunque, che questo frutto ha visto la luce nell'Estremo Oriente e che da qui è poi giunto sino a noi in Europa. Alcuni, dicono, grazie ai mercanti del XIV secolo, sebbene talune fonti ne facciano risalire la venuta nel Vecchio Continente già in epoca romana e nel I secolo si parli di coltivazioni di melarancia in Sicilia, luogo poi divenuto effettivamente patria d'adozione di arance e pregiatissimi agrumi.

Ma torniamo ai gustosi frutti del nostro bel sacchetto: dopo che una buona parte è finita in saporite e sane spremute, dopo che altrettanti sono stati divorati a fine pasto o come spuntino, i rimanenti hanno trovato la propria gloriosa fine in quella che è diventata la mia prima marmellata di arance.

La ricetta è molto semplice: pochissimi ingredienti e una certa dose di pazienza perchè, come per tutte le mie altre preparazioni di confetture (le trovate tutte nella sezione "Gnam"), anche in questo caso non ho utilizzato addensanti ma soltanto tempo.


Se anche voi amate gli agrumi e volete cimentarvi nella preparazione, oltre alle arance vi serviranno soltanto zucchero e acqua. Pronti? Bene, cominciamo!
Laviamo, sbucciamo e "peliamo" le arance, privandole anche della pellicina bianca (che risulterebbe amara). Quando abbiamo pulito ben bene le nostre arance le pesiamo e poi pesiamo lo zucchero in una proporzione di 2/3 (quindi, per esempio, se abbiamo un chilo e mezzo di arance ci servirà un chilo di zucchero; se abbiamo un chilo di arance, 670 grammi di zucchero e così via): è tanto, lo so, e un uso così disinvolto di dolcificante va in controtendenza rispetto a tutte le mie altre preparazioni, solitamente molto "light" seppur gustose, ma va considerato che la marmellata di arance risulta essere davvero amara, quindi, a meno che voi non siate appassionati sostenitori del bitter estremo, in questo caso lo zucchero ci va proprio tutto!

A questo punto prendiamo le nostre arance aperte in spicchi, il nostro zucchero e mettiamo il tutto in una bella pentola capiente, ricoprendo entrambi d'acqua. Accendiamo il fuoco e, con pazienza, iniziamo a mescolare. E mescolare. E mescolare. Prima, affinchè lo zucchero si sciolga. Poi, perchè gli spicchi comincino a disfarsi con la cottura. Dopo ancora, per far sì che il composto assuma la giusta consistenza e non "attacchi" alla pentola.

Quando la nostra marmellata supera la prova del piattino inclinato ha raggiunto la giusta consistenza e, a questo punto, possiamo spegnere il fuoco e procedere con il confezionamento. Non ripeterò mai abbastanza quanto sia indispensabile che i vasetti ed i coperchi siano perfettamente sterili: questo non solo per conservare tutte le proprietà del cibo ma, cosa ancora più importante, per evitare la proliferazione di batteri anche molto pericolosi per la nostra salute. Quindi, assicuratevi bene di aver perfettamente sterilizzato i barattoli che conterranno la vostra marmellata!

A questo punto non resta altro da fare che riempire i nostri vasetti, assicurarci che il contenuto sia sotto vuoto (spiegavo come ottenerlo qui) e... abbellirli con copri-barattolo graziosi, in attesa di gustarci il risultato!


Se amate la scorza di arance e se disponete di frutti non trattati, dopo averli lavati e prima di procedere alla sbucciatura potete pelarne un paio con l'apposito attrezzo o anche un pela patate, stando ben attenti a non incidere la parte bianca della buccia: tagliatela a striscioline sottili e mettetele a sobbollire per qualche minuto in acqua, a parte, poi aggiungete le scorzette alla vostra marmellata qualche minuto prima di spegnere il fuoco.

martedì 8 gennaio 2013

Ghiaccio infuocato, con Dirty Dancing

Vi ricordate "Dirty Dancing", il romanticissimo film con il mai abbastanza compianto Patrick Swayze e  la bella e talentuosa Jennifer Grey? Quel film è diventato una vera icona degli anni '80 e la scena del ballo, sensualissimo per l'epoca in cui è ambientata la vicenda, è entrata nella storia del cinema ed è stata riproposta in centinaia di varianti.
Ma io vi assicuro che, bella così, come nel video che vi propongo qui sotto, non è mai stata! Interpretata magistralmente dai bravissimi Stefania Berton e Ondrej Hotarek - non a caso la miglior coppia italiana di pattinaggio artistico, che ha mancato per un soffio il podio europeo nella stagione 2011/2012 - ecco dunque a voi la splendida "Dirty Dancing" in grado di infuocare l'atmosfera persino di un palaghiaccio!


giovedì 3 gennaio 2013

Alla ricerca della gioia perduta. Cosa ci manca per essere felici?


Cos'è la felicità? E, in ultima sintesi, cosa ci manca per essere felici? Cosa dà - e cosa può togliere - gioia ai nostri giorni, alla nostra vita? 

Simona è nata senza braccia. Una piccola, bella bimba dal visino perfetto e dagli occhioni vispi, sana e forte, ma senza braccia. I suoi genitori avrebbero potuto trascorrere le proprie vite crogiolandosi nel dolore, avrebbero potuto crescerla come una bambina handicappata, oppure l'avrebbero potuta crescere guardando in faccia la realtà e spronandola da subito ad inseguire ciò che voleva così, come poteva. Ed è questa la scelta che hanno fatto, guidati forse da quel pragmatismo forgiato dalla dura realtà sarda. Niente piagnistei, niente commiserazione: si guarda la vita dritta negli occhi, si percorre il cammino con fede e tenacia e grinta.

Ed è così che Simona è cresciuta, forte e tenace, persino cocciuta a volte, convinta di poter diventare tutto ciò che avrebbe voluto. Di braccia e mani, in fondo, si può fare benissimo a meno: l'ha scoperto fin da piccolissima, fin da quando ha iniziato ad usare i suoi piedini per giocare e disegnare. E poi quei piedini proprio non ne volevano sapere di stare fermi, si ostinavano a seguire la musica, a danzare, a voler far volare Simona sulle note delle melodie... e allora perchè non andare a scuola di danza
"Perchè ci identifichiamo sempre con quello che non abbiamo, invece di guardare quello che c'è? Spesso i limiti non sono reali, i limiti sono solo negli occhi di chi ci guarda", dice, ma queste parole non si limita a pronunciarle e a scriverle: queste parole le vive nel suo quotidiano.
"Non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo, se sei bianco, nero, giallo o verde, se ci vedi o sei cieco... La diversità è ovunque, è l'unica cosa che ci accomuna tutti".

Questo non è un libro sul "bicchiere mezzo pieno", sull'"arte di sapersi accontentare", tutt'altro! Questo è un libro che parla di sogni e della forza che serve per realizzarli. Simona vuole ballare e non si accontenta certo di imparare qualche passo di danza: lei arriva ad esibirsi davanti a Papa Giovanni Paolo II!

E quando scopri che disegnare ti riempie l'anima, ma l'Accademia di Brera ti dice che no, un'allieva senza mani proprio non riuscirebbe ad integrarsi e seguire regolarmente i corsi, che si fa? Semplice: si va altrove! Si passa oltre la delusione, si prende un aereo e si vola in Canada, per studiare ben bene le lingue e già che ci siamo per laurearsi alla facoltà di Visual Arts dell'University of Western Ontario.

"Dobbiamo fermarci in tempo prima di diventare quello che gli altri si aspettano che siamo. E' nostra responsabilità darci la forma che vogliamo - scrive Simona in queste magnifiche pagine - liberarci di un po' di scuse e diventare chi vogliamo essere. E' tutto come noi decidiamo. Chi abbiamo intorno ci aiuta, ma ad un certo punto della nostra vita dobbiamo essere noi a prendere in mano le redini e a manipolare la nostra esistenza perchè ci assomigli".
E allora, alla fine dei conti, cosa ci manca per essere felici? Forse, solo il coraggio di provarci davvero.

Autore: Simona Atzori
Editore: Mondadori
Anno di edizione: 2011